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Reggio, muore il boss Pasquale Libri

REGGIO CALABRIA È morto nella sua casa, dove gli era stato concesso di tornare per motivi di salute nonostante le pesanti condanne rimediate, Pasquale Libri, capo di uno dei clan più potenti di Reg…

Pubblicato il: 31/08/2017 – 11:59
Reggio, muore il boss Pasquale Libri

REGGIO CALABRIA È morto nella sua casa, dove gli era stato concesso di tornare per motivi di salute nonostante le pesanti condanne rimediate, Pasquale Libri, capo di uno dei clan più potenti di Reggio Calabria. Quasi ottantenne, da tempo malato, Libri è morto per cause naturali. Ed è morto da boss. Dal fratello Mico, incoronato “custode delle regole” nel quadro dei nuovi assetti scaturiti dalla seconda guerra di ‘ndrangheta ed espressione del direttorio di clan che in base a quegli assetti governa la città, Pasquale aveva ereditato, secondo i magistrati, titoli e funzioni. Capo indiscusso del suo clan, storicamente radicato nella zona di Cannavò, alla periferia di Reggio Calabria, fino all’ultimo Libri ha continuato a tracciare le strategie criminali e imprenditoriali del clan. Per questo motivo, nonostante fosse in detenzione domiciliare per motivi di salute, negli ultimi anni è stato più volte destinatario di mandati d’arresto e nuove accuse. 

AL COMANDO Alla morte del fratello “Mico”, avvenuta nel 2006 mentre era detenuto, Pasquale Libri aveva assunto il comando della cosca. “Mico” e Pasquale Libri hanno cominciato a costruire le loro fortune economiche lavorando come operai edili poi come “cottimisti”, fino agli anni 70, quando Reggio Calabria viene aggredita da una fortissima azione speculativa che ne sfregia la fisionomia. In quegli anni si edificano migliaia di vani, a dispetto di ogni norma antisismica. Domenico e Pasquale Libri sono tra i primi a intuire il “nuovo che avanza”: a Reggio Calabria, nel 1972 si sono appena spenti gli ultimi fuochi della rivolta del “boia chi molla” per il capoluogo di regione assegnato a Catanzaro, e le cosche tornano a “patteggiare” con settori dello Stato e poteri occulti le prospettive economiche della città. La prima tra le più imponenti opere su cui la ‘ndrangheta, con i Libri tra i più interessati, punta gli occhi è il raddoppio del binario ferroviario Villa San Giovanni-Reggio. Ciò provoca lo scoppio delle tensioni tra i De Stefano, i Tegano e i Libri da un lato, e il vecchio patriarca Domenico “Mico” Tripodo, con tre anni di sparatorie per le strade di Reggio e centinaia di morti ammazzati. Una “guerra” che vede soccombere “Mico” Tripodo. Da quel momento, De Stefano, Libri e i loro alleati conquistano tutte le posizioni di comando, riuscendo a trasformare un’organizzazione criminale di tipo agricolo in una moderna holding dagli “interessi” più variegati: traffico di droga, armi, opere d’arte, e, soprattutto, la politica. Nelle mani dei Libri resta saldamente il settore dei lavori pubblici e privati. Con la loro società, poi confiscata, “Edilizia Reggina”, “Mico” e Pasquale Libri, grazie a contatti con la politica corrotta, monopolizzano ogni appalto pubblico e frazionano ai nuovi “cottimisti” mafiosi le forniture. Un sistema che consente loro di mantenere alto il prestigio mafioso e scongiurare le guerre di mafia. Tutto regge fino all’assassinio del boss Paolo De Stefano (10 ottobre 1985). In una riunione voluta dai De Stefano per fare la conta di “amici” e “nemici”, “Mico” e Pasquale Libri non hanno dubbi, continuano a stare con loro contro i nuovi cartelli: i Serraino-Lo Giudice-Condello-Rosmini-Imerti.
Dal 1985 e fino all’omicidio del giudice di Cassazione Antonino Scopelliti, il 9 agosto del 1991, nella sola Reggio Calabria si contano oltre mille persone ammazzate. Una mattanza che verrà interrotta da una pace garantita dai potentati di ‘ndrangheta della Locride e della Tirrenica, i Nirta di San Luca in Aspromonte e gli Alvaro di Sinopoli. “Mico” e Pasquale Libri sono tra quelli che più insistono per la pace e la ripresa degli “affari”, un atteggiamento che suscita malumori in settori del cartello destefaniano, fino a far circolare la voce di un loro presunto “tradimento”. “Mico” Libri, a chi in ambienti mafiosi criticava la sua decisione, obiettava il suo “curriculum”: sei ergastoli definitivi nel processo Olimpia per essere stato mandante di almeno venti omicidi. Aggiungendo: «Che io non ho commesso».

a.c.

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