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La morte del boss, il circo social e il silenzio della Chiesa

REGGIO CALABRIA Sono passati quattro giorni dalla morte di Pasquale Libri, boss dell’omonimo clan e per eredità “custode delle regole” decise alla fine della seconda guerra di ‘ndrangheta. Per lui,…

Pubblicato il: 03/09/2017 – 17:58
La morte del boss, il circo social e il silenzio della Chiesa

REGGIO CALABRIA Sono passati quattro giorni dalla morte di Pasquale Libri, boss dell’omonimo clan e per eredità “custode delle regole” decise alla fine della seconda guerra di ‘ndrangheta. Per lui, come ormai da prassi, la Questura ha imposto funerali privati, celebrati alle 7 del mattino al nuovo cimitero di Condera. E come da prassi, da giorni sui social va in scena la faida fra i sostenitori del provvedimento e chi lo bolla come atto variamente inumano. Mentre la Chiesa, che in barba alle scomuniche invocate persino dal Papa ha celebrato i funerali, è rimasta in silenzio. 

REPETITA NON IUVANT Un copione già visto nei modi e nei commenti, ma che ad ogni nuova edizione nulla perde della sua sconfortante portata. Come di costume, a dare fuoco alle polveri sono i familiari del defunto, che in modo più o meno sgrammaticato celebrano il congiunto passato a miglior vita. Generalmente è sempre «un angelo» o «uomo di buon cuore» e «che tanto ha insegnato», nonostante il discreto numero di condanne che il morto si è portato nella tomba.

ALLA FIERA DEL BECERO Nel caso dei familiari di Pasquale Libri, il “dibattito” è rapidamente precipitato lungo il crinale dell’insulto becero, declinato a sfondo sessuale. Per nipoti e accoliti, chi non si è messo in fila per il licenziamento 2.0 a colpi di compunti “r.i.p”, è solo «una lurida vacca», «una lesbica» o «un ricchione», impegnato in varie ed eventuali acrobazie sessuali, ma sempre in procinto di morire (male). E tutti sono in generale male informati dalla stampa, perché – assicura il nipote del boss – «su quest’uomo sono state scritte tante falsità, le cose sui giornali sono scritte per fare business, e lui non era neppure detenuto».

IL CURRICULUM DELL’ANGELO Probabilmente, al giovane rampollo sono sfuggiti i pezzi che davano conto delle deposizioni in tribunale dei pentiti che per lungo tempo hanno frequentato il medesimo ambiente del defunto, proprio negli anni della sanguinosa guerra di mafia costata a Reggio 800 morti ammazzati in sei anni. Il medesimo conflitto che secondo alcuni collaboratori sarebbe stato segretamente innescato proprio dal clan Libri, da più parti definiti «tragediatori». E poi – certificano sentenze definitive – divenuti “custodi delle regole” che per terminare quella guerra sono state stabilite.

LA TERRA DI MEZZO Argomenti che inutilmente vari internauti hanno provato a proporre. Immediatamente sono stati coperti da irripetibili insulti da parte di familiari, amici, accoliti e magari anche qualche affiliato, nascosto dietro opportuni nick name. In mezzo, gli ecumenici garantisti dell’ultima ora, impegnati a invocare «cristiano rispetto» e/o a criticare «l’ingerenza dello Stato in questioni private».

E LA PIÙ VOLTE RIBADITA SCOMUNICA? Insomma, sui social è andato in scena un circo, dai toni più o meno alti, che da giorni tiene banco e non accenna a spegnersi. Chi – allo stato – non ha proferito verbo è la Chiesa, insieme a tutti i suoi rappresentanti. Nonostante papa Francesco abbia detto chiaramente – nel lontano 2014 – che «i mafiosi sono scomunicati» e tale concetto sia stato ribadito più volte da vescovi e alti prelati calabresi, boss, luogotenenti e gregari, condannati anche definitivamente per mafia, continuano a ricevere tutti i sacramenti.

Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it

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