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Santini a Rosarno, Cafiero de Raho: «Valutiamo possibili reati» – VIDEO

REGGIO CALABRIA «Le indagini si fanno per verificare l’eventuale sussistenza di reati di ogni natura». Non si sbilancia il procuratore capo della Dda Federico Cafiero de Raho, ma chi ha tappezzato …

Pubblicato il: 04/09/2017 – 14:12
Santini a Rosarno, Cafiero de Raho: «Valutiamo possibili reati» – VIDEO

REGGIO CALABRIA «Le indagini si fanno per verificare l’eventuale sussistenza di reati di ogni natura». Non si sbilancia il procuratore capo della Dda Federico Cafiero de Raho, ma chi ha tappezzato Rosarno di santini della Madonna di Polsi ha poco da stare tranquillo. Il gesto – «indecente e blasfemo» per il prefetto Michele di Bari – non è passato inosservato e nessuno a livello istituzionale ha intenzione di lasciare correre. Per oggi è stato convocato un comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica in Prefettura, cui hanno partecipato i vertici delle forze dell’ordine, delle procure di Reggio Calabria e Palmi e il sindaco di Rosarno, Giuseppe Idà. Ma, nel frattempo, il lavoro d’indagine sul territorio prosegue.

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L’analisi dei filmati delle telecamere di videosorveglianza ha dato i suoi frutti e sarebbero state già identificate le targhe delle auto usate da chi ha lasciato quei santini in giro per la città e non solo di fronte alla casa di Giuseppa Bonarrigo, madre dei fratelli Pesce. Sarebbero emersi anche nuovi particolari. Secondo alcune indiscrezioni, l’immaginetta della Madonna di Polsi non sarebbe l’unico omaggio offerto in dono alla matriarca. Qualcuno le avrebbe persino consegnato un ramoscello d’ulivo. Tutti elementi su cui si sta approfondendo. «A prescindere dagli eventuali profili di natura penale – ha detto il procuratore capo di Palmi, Ottavio Sferlazza – quanto è accaduto rappresenta un fatto grave dal punto di vista sociale e culturale perché ben rappresenta l’ennesimo tentativo della ‘ndrangheta di strumentalizzare il sentimento religioso per ottenere legittimazione e consenso popolare». Per questo, spiega il procuratore capo della Dda, Federico Cafiero de Raho, «quei santini rappresentano una sfida allo Stato». E lo Stato non ha intenzione di stare a guardare. «Noi siamo qui oggi – sintetizza il prefetto – per condannare senza se e senza ma questo deprecabile gesto, che è l’antitesi della fede mariana. Rispetto ad atteggiamenti di questo genere, da parte di questo comitato ci sarà tolleranza zero». Da tempo ormai, continua di Bari, in tutta la provincia si lavora per colpire duramente la criminalità organizzata e le sue manifestazioni. «Gesti di questo genere ci dicono che c’è ancora tanto da fare – conclude il prefetto – ma non fermeremo perché la legalità continua a essere il nostro interesse preminente».

LA DIOCESI: SACRILEGIO CONTRO POLSI «La Madonna di Polsi e il suo Santuario, come più volte ha ribadito il nostro vescovo, non vuole avere nulla a che vedere con le organizzazioni mafiose e ‘ndranghetiste: chi aderisce alla ‘ndrangheta e a ogni forma di criminalità organizzata è scomunicato, cioè fuori dalla comunione con Dio e con la Chiesa». Lo afferma l’Ufficio Diocesano per le Comunicazioni sociali della diocesi Locri-Gerace. 
«Lo ribadiamo ancora una volta – prosegue la nota – il santuario è contro la ‘ndrangheta e porta avanti iniziative formative atte a farne comprendere la negatività e il male che essa compie alla nostra gente. Questa scelta di ripudio della ‘ndrangheta e di lotta contro di essa è irrevocabile. Ma il santuario ha sempre le porte aperte ad accogliere ogni peccatore che pentito intende convertirsi e cambiare vita, perché la Chiesa vive e annuncia il vangelo della misericordia e del perdono. Lo ripetiamo: ogni uso strumentale dell’immagine sacra della Madonna della Montagna di Polsi è sacrilegio e offende la dignità del Santuario e soprattutto dei tanti fedeli che vi si recano mossi da una fede genuina e vera. Il santuario di Polsi ha pagato un alto tributo di sangue all’arroganza mafiosa. L’assassinio di don Giuseppe Giovinazzo è solo uno degli atti di violenza subiti dai sacerdoti che operano in questo difficile territorio. La sua memoria è un dovere dei cristiani e, in particolare, della chiesa di Locri-Gerace». 
«Occorre prendere atto – afferma l’Ufficio diocesano – che si è sviluppata una cultura mafiosa che va combattuta in ogni modo. Si tratta di una battaglia culturale da portare avanti a tutti i livelli. Arrestato un mafioso ne viene fuori un altro. La chiesa a livello formativo combatte questa cultura che fa dell’arroganza, della prepotenza, dell’omertà e delle complicità il suo forte. Nell’agire del mafioso, sopra di tutto, c’è sempre la ricerca degli affari, dei soldi e del guadagno. Non c’è ancora una diffusa consapevolezza del male che è e che fa la mafia. Esistono frange di rispetto per il boss e il capobastone. Questo “rispetto complice” va scardinato. Quanto accaduto a Rosarno e quanto succede ogni volta che vengono usati impropriamente i simboli della religiosità e della pietà popolare, non può e non deve in alcun modo disorientare i veri credenti che si appoggiano ad una fede forte e vera».

Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it

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