È la terza volta, o almeno questa è la mia conoscenza, che Francesco Nucara affida a un libro le ragioni della sua “passione politica”. Questa volta però non narra le vicessitudini della “sua” Reggio o quelle del “suo” Pri, il suo ultimo libro, fresco di stampa, per i tipi di Rubbettino, e di presentazione, narra della sua militanza politica. È un’autobiografia: “Storia di una passione politica (Scene e retroscene)”.
Non per questo, però, la prosa è meno limpida. Anzi esattamente il contrario: il suo scritto ci consegna una testimonianza diretta, vera, intellettualmente onesta. Al punto da rispecchiare la storia del Paese e del Partito che Francesco Nucara ha scelto di servire, con una coerenza che oggi è praticamente introvabile. Un solo dato potrebbe bastare: 54 anni di impegno politico con in tasca la stessa tessera, quella dei repubblicani. Una tessera che, quasi a prevenire i tempi moderni che hanno trasformato la transumanza in chiave di successo politico, teneva come simbolo una foglia di edera.
Scriveva il romantico innamorato:
“Non sono come l’ape
che fugge di fiore in fiore;
sono come l’edera:
dove si attacca muore”.
Ne sa qualcosa la moglie di Nucara, donna di grande sensibilità e di estrema grazia che ha dovuto convivere con un così ingombrante convitato di pietra: il partito. Silente compagna di momenti esaltanti ma anche di drammatiche giornate. Un passo indietro, sempre, perchè usava così nella prima Repubblica, ma capace di garantire un tetto sicuro e un riparo sereno ogni volta che questo serviva ad un marito che aveva anche un’altro “vizio” imperdonabile: nello scontro in campo non tirava mai il piede dietro. E Nucara non ha mai evitato di prendere posizione anche quando il rischio di trovarsi fuori gioco o colpito dal “fuoco amico” era fortissimo.
Ecco perché la sua autobiografia è una pubblicazione utile, da consigliare soprattutto a chi vuole capire i mali odierni risalendo alle loro radici. Le “scene” narrate così come i “retroscena” ricostruiti nel volume hanno il dono dell’autenticità. Se proprio vogliamo trovare una pecca potremo dire che alcune storie Nucara ha scelto di non raccontarle (il che non significa che non avrà modo di farlo in seguito…) ma quelle che riporta sono implacabilmente complete e vere.
Una lettura o un racconto? Questo interrogativo lo avevo già posto in passato proprio presentando il precedente libro che Nucara ha dedicato alla città di Reggio Calabria. Era la narrazione dell’eterno aborto della nascita di una vera e grande città, che per la sua posizione geografica e la sua millenaria storia sarebbe potuta diventare la città-faro dell’estremo sud d’Italia. Oggi l’autobiografia di Francesco Nucara diventa la narrazione della vita di un uomo pubblico, con le sue luci e le sue ombre, i suoi successi e le sue sconfitte. La storia di un parlamentare che in varie legislature è stato anche vicepresidente della Commissione Bicamerale per il Mezzogiorno, Sottosegretario dell’allora Ministero dei Lavori Pubblici e viceministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio. La storia di un uomo di partito (ma non di parte) a cui si devono molte iniziative editoriali del Partito Repubblicano Italiano, tra cui “I Repubblicani all’Assemblea Costituente”, “La Voce Repubblicana, Un Giornale per la Libertà e la Democrazia”, “Mazzini e Cattaneo. Idee per gli Italiani del Duemila”, “Francesco Perri, dall’Antifascismo alla Repubblica”.
E poi è bello leggere un’autobiografia che, pur essendo oltremodo ricca, proprio per via delle tante esperienze vissute da protagonista, contiene al suo interno un ricorso al “condizionale” del quale non si trova più traccia nel lessico politico corrente, dove anche l’ultimo pischello usa l’imperativo categorico. Anche per questo, Paolo Conte descrive la stagione che Nucara ha vissuto come meglio non si potrebbe: “Era un mondo adulto: si sbagliava da professionisti”.
Paolo Pollichieni
direttore@corrierecal.it
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