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«Denutrizione e dolori da iperlavoro i mali dei migranti»

SAN FERDINANDO Nessuna strana sindrome tropicale, né strani morbi. Tra i migranti, le malattie più diffuse sono quelle dovute ad emarginazione, fame e iperlavoro. È un dato che emerge in maniera ch…

Pubblicato il: 08/09/2017 – 16:57
«Denutrizione e dolori da iperlavoro i mali dei migranti»

SAN FERDINANDO Nessuna strana sindrome tropicale, né strani morbi. Tra i migranti, le malattie più diffuse sono quelle dovute ad emarginazione, fame e iperlavoro. È un dato che emerge in maniera chiara dal report che il collettivo Mamadou ha stilato al termine dell’attività del presidio sanitario estivo all’interno del ghetto di San Ferdinando. «I disturbi che maggiormente abbiamo registrato – si  legge – sono di tipo gastro-intestinali, dolori muscolari ed articolari, difficoltà respiratorie, eruzioni cutanee di tipo allergico ed irritativo e problemi dentali».

CHE TERAPIA PER LA MISERIA? Malattie da miseria – spiegano – dovute a scarsa e cattiva alimentazione, precarie condizioni igieniche e sforzo eccessivo. Si tratta –  si legge nel report – di «condizioni patologiche che potrebbero essere facilmente eliminate agendo sulle cause primarie: igiene, acqua potabile, accessibilità alle cure, disponibilità di corrente e spazi adatti alla vita».

ACQUA “VELENOSA” Ma fra i braccianti della Piana, per molto tempo anche le condizioni igieniche minime sono state un lusso impensabile.  E l’acqua inquinata che scendeva a rivoli dalle poche fontanelle, uno dei più potenti veleni, in grado di causare disturbi gastrointestinali di ogni genere. I volontari del collettivo consigliano di bere acqua imbottigliata, ma anche questo non è fattibile per chi strappa pochi spiccioli di paga per un’intera giornata di lavoro. «Non esistono Linee Guida della Società Italiana Gastroenterologia che ti indichino come si cura la miseria» appuntano i medici nel report.

IL LUSSO DELLA BUONA ALIMENTAZIONE «La gran parte degli uomini del ghetto sono giovani, il loro organismo è ancora forte delle risorse necessarie a reggere agli insulti che arrivano dall’esterno, ma tanti già si stanno ammalando» scrivono i sanitari, che sottolineano come molti presentino una tendenziale ipertensione.
Nulla di strano – evidenziano – «gli statunitensi lo sanno da decenni: l’ipertensione tende a essere più comune e più grave nei soggetti di etnia nera». Ma in questo caso, la cura –  un’alimentazione più sana, che prescinda da scatolame e i cibi pronti – è complessa non per cattiva volontà o scarsa collaborazione del paziente. «Come si impone a un paziente una dieta a base di frutta e verdura fresche se nel posto in cui vive non c’è acqua corrente né elettricità, se gli manca un frigo e la cucina è sostituita da un angolino della sua baracca in cui stipa le scatolette di latta comprate al supermercato?» ci si chiede quasi con frustrazione nel report.

E DEL RIPOSO Ugualmente impensabile – affermano – è proporre un periodo di riposo a chi presenta i tipici sintomi da iperlavoro: muscoli indolenziti o stirati, tendini infiammati. Ma medici, infermieri e volontari lo sanno. «I pochi che a luglio – in bassa stagione – riescono ad accaparrarsi qualche ora di lavoro, se la tengono ben stretta».

IGIENE QUASI IMPOSSIBILE Tra i braccianti, spiega il report, sono diffuse anche scabbia e pediculosi. Non si tratta – dicono a chiare lettere i sanitari – di infezioni «contratte nei Paesi di origine, ma nel ghetto, dove si propagano grazie a condizioni igienico sanitarie scarse e sovraffollamento». Stesso discorso vale per la tubercolosi. Nel corso delle visite, sono emersi vari casi sospetti, ma la mancanza di un presidio sanitario fisso, dotato di adeguata strumentazione, ha impedito di fare analisi più specifiche.

NESSUN ALLARME Un potenziale pericolo per tutta la popolazione della Piana? Assolutamente no. A spiegarlo è un esperto dei “Riuniti”, che chiarisce subito: «Il contatto con il batterio della tubercolosi non significa che si sviluppi automaticamente la malattia. Nella maggior parte dei soggetti, quello che succede è che il sistema immunitario sviluppa autonomamente gli strumenti per difendersi».

GLI ESAMI IMPOSSIBILI Ci sono esami clinici – come il test di Mantoux o un banale esame del sangue che analizzi l’eventuale positività sierologica al Mantiferon – che svelano l’eventuale contatto con il batterio. «Per una diagnosi di tubercolosi – spiega l’infettivologo – ci vogliono esami più specifici che permettano di far emergere una lesione escavata al polmone, un linfonodo patologico colliquato e lesioni renali, oppure test estremamente specifici». Pura fantascienza a Rosarno, dove da anni i volontari delle associazioni che da tempo lavorano fra la tendopoli e i capannoni trasformati in ghetti chiedono un presidio ambulatoriale fisso.

ROMPERE IL CIRCOLO VIZIOSO «La mancanza delle più basilari condizioni igieniche, la scarsità di servizi e disponibilità economica e di relazioni sociale – concludono dal collettivo – costringono i braccianti a mangiare cibi mal conservati, bere acqua inquinata e vivere in baracche fatte di cartone, plastica e rifiuti. Possiamo sì agire sui sintomi e cercare di guarire uno, due, dieci pazienti, ma una volta tornati alla vita di sempre il problema si ripresenterà presto, creando un circolo vizioso estenuante».

MALATTIE DA EMARGINAZIONE Il nocciolo del problema è un altro. «La situazione sanitaria – mettono nero su bianco i sanitari –  è in diretta relazione con il contesto sociale, economico e politico in cui queste persone si ritrovano. Politiche di emarginazione, sfruttamento, razzismo e criminalità organizzata sono le responsabili dirette della condizione disumana che coinvolge i braccianti della Piana, costretti ad auto organizzarsi in micro-società escluse dalla vita cittadina e quasi fuori dal tempo e dallo spazio, come se si trovassero in quel posto solo per lavorare, o meglio, per essere sfruttati, sotto l’occhio dell’amministrazione locale, che guarda, ignora ed asseconda lo stato delle cose».

NECESSARIE SOLUZIONI STRUTTURALI Una situazione stazionaria, figlia della gestione emergenziale di una realtà strutturale che finisce solo per rimandare il problema. È quello che rischia di succedere se la «soluzione temporanea» della nuova tendopoli dovesse protrarsi a tempo indeterminato. E soprattutto se non dovessero essere individuate soluzioni di accoglienza civile e dignitosa per i tanti braccianti in arrivo per la stagione degli agrumi.

DIRITTI FONDAMENTALI, MA NON PER TUTTI Soluzioni che non possono prescindere da diritti fondamentali come quello alla salute, dunque all’assistenza sanitaria. «Per i braccianti della Piana di Gioia Tauro questo diritto non esiste, assistenza e servizi che dovrebbero essere garantiti divengono inaccessibili» dicono chiaro i medici del collettivo Mamadou. Che su Rosarno – promettono – continueranno a vigilare. «Il nostro intervento – si legge nel report – di fatto ha avuto lo scopo non solo di offrire assistenza sanitaria di base, ma anche e soprattutto la denuncia dello stato attuale di cose, un’azione e visione a lungo termine, che vada oltre la pura assistenza ed una presenza fisica effimera, ma creando intrecci e relazioni anche con i braccianti stessi, sostenendoli nell’essere soggetti attivi nel cambiamento del loro stato, a Rosarno come nelle altre realtà di sfruttamento, emarginazione e discriminazione».

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