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Il viaggio dell'Espresso nel "partito di Minniti"

«Renzi sembrava avere perso il filo del Pd quando – improvviso solo all’apparenza – è spuntato Marco Minniti. Il ministro dell’Interno voluto da Gentiloni e Mattarella, che senza twittare s’è preso…

Pubblicato il: 10/09/2017 – 14:51
Il viaggio dell'Espresso nel "partito di Minniti"

«Renzi sembrava avere perso il filo del Pd quando – improvviso solo all’apparenza – è spuntato Marco Minniti. Il ministro dell’Interno voluto da Gentiloni e Mattarella, che senza twittare s’è preso la scena e recita un inedito monologo, la parte principale del melodramma di governo: “Vincerò” la sfida della grande migrazione. Ti aspetti un tenore, se fan fede gli studi alla scuola Pci, ma di lui colpisce invece il timbro grave e robusto da baritono: il pugno di ferro, il tirare dritto, l’impressione di una svolta». Così Tommaso Cerno introduce il servizio di copertina dell’Espresso, in edicola, dedicato al ministro dell’Interno Marco Minniti dal titolo “Il Partito di Minniti”. 
Cerno si chiede: «Perché Minniti fa un tale effetto? La risposta più semplice è che sia stato lui il primo a occuparsi davvero del tema rovente, la sicurezza dei cittadini immersi nella paura globalizzata del diverso, di quell’ondata che nessuno sembrava governare. Ha sostituito a un certo fatalismo del Pd (che alimentava la destra di Salvini e i più populisti del M5s) la ragion di Stato, l’azione. Ha messo le mani dove nessuno aveva osato con un motto semplice ma divisivo a sinistra: passare dall’avere paura al non avere paura».
Il ministro Minniti ha già ottenuto importanti risultati: «Dire che Minniti abbia prodotto un effetto concreto è scontato. Tutti noi abbiamo la percezione che qualcosa sia cambiato. Ma al tempo stesso ci sorge un dubbio: è cambiato in meglio? Questo dubbio è lecito, in quanto resta aperta una questione sostanziale, che non riguarda i pilastri delle politiche del Viminale, ma il basamento culturale sopra cui questi poggiano. Mentre il ministro è tirato per la giacchetta da destra a sinistra, la domanda senza risposta è quali siano i valori su cui il piano di intervento nel Mediterraneo si fonda. Se cioè dietro alla capacità di “ripulire” i mari da carrette e scafisti, al punto da imporre alle Ong le guardie armate a bordo, di trattare con l’Egitto di al-Sisi e rimandare al Cairo l’ambasciatore ritirato dopo l’omicidio Regeni, Minniti abbia presente il prezzo altissimo che questa fase del suo progetto ci porta a pagare: migliaia di vite umane in pericolo sulle nuove rotte del deserto. Il business dei lager libici si sta infatti sostituendo alla tratta, criminale altrettanto, di esseri umani».

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