MILANO I 2,6 milioni di euro trovati in parte in un controsoffitto di Francesca Persi, sua collaboratrice, e in parte in cassette di sicurezza in Austria, sono i ricavi “in nero” di Fabrizio Corona ed è inconsistente l’ipotesi «che certamente aleggiava nel corso delle indagini preliminari» della Dda, secondo cui «le somme sequestrate potessero avere un’origine diversa dall’attività imprenditoriale di Corona e fossero invece, sempre in ipotesi, state in qualche forma a lui affidate da terzi in custodia o a fini di reimpiego». Lo scrive il collegio, presieduto da Guido Salvini, nelle motivazioni della sentenza con cui ha condannato a un anno l’ex “re dei paparazzi” per un illecito fiscale, cancellando però le imputazioni per quei soldi in contanti. Come aveva ricostruito la stessa difesa, Corona ha incassato in nero tra il 2008 e il 2012 i circa 1,78 milioni trovati nel controsoffitto. In quel periodo con «l’affiancamento della figura di Belen Rodriguez» ha «certamente moltiplicato» i «guadagni di quel triennio». Lo scorso giugno, a carico di Corona, arrestato nell’ottobre 2016, ha retto solo un’imputazione della legge tributaria, relativa ad una cartella esattoriale, mentre le altre due accuse, l’intestazione fittizia di beni e un’omessa comunicazione relativa alla misure di prevenzione, che venivano contestate dalla Dda, sono state spazzate via dalla sentenza. Francesca Persi è stata condannata a 6 mesi e i giudici hanno anche annullato l’ordinanza cautelare a carico dell’ex agente fotografico, che resta comunque a San Vittore perché il Tribunale di Sorveglianza dopo l’arresto revocò l’affidamento in prova ai servizi sociali che gli era stata concesso. I legali di Corona, però, hanno presentato una nuova istanza di affidamento e sulla decisione della Sorveglianza potrebbe incidere anche il fatto che i giudici del processo non lo hanno dichiarato delinquente professionale, come chiedeva la Direzione distrettuale antimafia nella richiesta di rinvio a giudizio. Nelle 120 pagine di motivazioni viene chiarito dai giudici perché hanno deciso di accogliere gran parte delle tesi proposte dai legali Ivano Chiesa e Luca Sirotti. Vengono ricostruite passo passo le testimonianze del processo tra cui quelle dei clienti di Corona, che lo pagavano per serate ed ospitate e che «dopo esitazioni e reticenze» in aula «hanno ammesso» di avergli dato soldi in nero. In sostanza, spiega il Tribunale, «poteva apparire difficile» ritenere «che una somma in contanti complessivamente così elevata» potesse essere «frutto esclusivo dei ricavi in nero negli ultimi anni di Corona», ma il processo (tra gli elementi anche una consulenza difensiva su contabilità e appunti di Corona) ha dimostrato proprio questo. Si è trattato, insomma, di una «semplice evasione fiscale». Trasmessi gli atti alla Procura per i reati di dichiarazione infedele dei redditi e appropriazione indebita, Corona andrà incontro, però, a un altro procedimento. I giudici, infine, spiegano che del resto «sarebbe stato del tutto illogico affidare, con qualsiasi intento» soldi in contanti a Corona, sempre nell’occhio del ciclone per i «numerosi processi» e l’attenzione mediatica. E quando Giuseppe Sculli, ex calciatore e nipote di un boss della ‘ndrangheta, nell’estate 2016 gli chiese dei soldi, a detta dei giudici, forse si fece «forte della sua vicinanza ad ambienti calabresi per farsi portatore delle “doglianze” di qualche gestore di locali della zona», perché Corona non aveva fatto la “ospitata” promessa.
x
x