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Il Riesame demolisce le accuse a Statti

LAMEZIA TERME «Non è configurabile, neppure sul piano del fumus, la ipotizzata fattispecie delittuosa di estorsione di Statti Alberto ai danni dei lavoratori specificatamente indicati nella provvis…

Pubblicato il: 26/09/2017 – 14:33
Il Riesame demolisce le accuse a Statti

LAMEZIA TERME «Non è configurabile, neppure sul piano del fumus, la ipotizzata fattispecie delittuosa di estorsione di Statti Alberto ai danni dei lavoratori specificatamente indicati nella provvisoria imputazione; consegue l’annullamento del decreto di sequestro preventivo adottato dal gip del Tribunale di Lamezia Terme in data 30 maggio 2017».
È demolitorio il pronunciamento del Tribunale del Riesame di Catanzaro chiamato a valutare il fondamento delle accuse nei confronti del noto imprenditore lametino, nonché presidente di Confagricoltura Calabria. In verità i giudici del riesame (Giuseppe Valea, presidente; Teresa Guerrieri e Fabio Rabagliati, giudici a latere) dovevano confermare o rimuovere le misure cautelari adottate dal gip di Lamezia Terme che, in accoglimento delle richieste di quella Procura, aveva disposto il sequestro dei beni e il blocco dei conti correnti dell’omonima azienda agricola. Hanno fatto di più e, inevitabilmente, sono entrati nel merito delle infamanti accuse mosse contro Alberto Statti e nel farlo hanno smantellato punto per punto il rapporto della Guardia di finanza che indicava l’imprenditore come responsabile di vere e proprie attività estorsive in danno dei propri dipendenti ai quali avrebbe addirittura fatto accettare pagamenti ridotti di oltre il 30% rispetto al dovuto.
Da qui l’accusa anche di estorsione che il Tribunale oggi bolla come assolutamente infondata e ingiusta: «… non è configurabile, neppure sul piano del fumus». Tradotto: non solo mancano le prove ma anzi c’è prova dell’esatto contrario, ovvero della linearità dell’operato del presidente di Confagricoltura.
E giù nel merito, ecco il Riesame annotare: «Statti Alberto ha fornito la dimostrazione di aver corrisposto, ai dipendenti interessati, somme uguali o addirittura maggiori di quelle risultati dalle buste paga emesse, con ciò facendo venir meno il periculum in mora della misura cautelare reale disposta con decreto del Gip Tribunale di Lamezia Terme». 
Ed ancora la spietata sottolineatura dell’abbaglio in cui sarebbero incorsi gli inquirenti indicando come non lecite le, per la verità poche, decurtazioni operate lungo i 31 anni di attività dell’azienda Statti. «La decurtazione – si legge nella ordinanza del Tribunale – percentuale (33% per le donne e per gli uomini per lavori generici e 20% per uomini per lavori specializzati) che, secondo gli inquirenti, dovrebbe essere applicata onde pervenire alla somma che l’Azienda agricola Lenti avrebbe indebitamente trattenuto (rectius: estorto) ai lavoratori, si fonda su affermazioni del tutto generiche».
E le prove testimoniali? Alla fine si condensano in una sola voce accusatoria rispetto a centinaia di dipendenti sentiti a verbale. Ma tale voce accusatoria non sarebbe anche disinteressata, ecco cosa evidenziano nel merito i magistrati del Riesame: «Quanto, infine, a Cappello Angelo, le cui dichiarazioni sono state particolarmente valorizzate dagli organi inquirenti, non può sfuggire come, da un lato, rievoca la sua situazione personale antecedente al mese di giugno 2012 (data di cessazione del rapporto di lavoro), dall’altro, emerge, per come evidenziato dalla difesa, una situazione conflittuale con Statti Alberto (precedente licenziamento della moglie, controversia a causa dell’infortunio sul lavoro del cognato), che fa dubitare della attendibilità delle dichiarazioni rese agli inquirenti». 
Restituita onorabilità all’imprenditore, e rimessa l’azienda in condizione di operare con lo sblocco di beni e conti bancari, residua la gravità di una vicenda che nel maggio scorso ha fatto aprire i Tg nazionali con l’immagine di una Calabria irredimibile, dove anche la più antica e blasonata azienda, affidata alla managerialità delle nuove generazioni, come nel caso Statti, finiva col macchiarsi del peggiore caporalato in stile paramafioso. Residua anche il rischio corso dall’azienda, giunta a un passo dal fallimento e dal licenziamento di centinaia di dipendenti. E residua una domanda semplicissima, quasi ingenua: non era possibile agire con fermezza ma, certo, ma anche con qualche approfondimento preventivo, visto che i pagamenti erano tutti tracciabili? (Red.Cro)

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