COSENZA Chi c’era il 17 marzo 2009 non può dimenticare i volti dei pazienti trasferiti dall’Istituto Papa Giovanni XXIII di Serra d’Aiello. I corpi adagiati sui lettini, quelli sostenuti dalle braccia dei volontari perché non si reggevano in piedi. I malati psichiatrici trasportati sulle sedie a rotelle per lasciare il luogo che li ospitava da anni. L’Ipg aveva radunato attorno a sé buona parte delle espressioni con le quali si traduce la paura: “clinica degli orrori” e “lager” per descriverla, “traffico di organi”, “sparizioni”, “omicidi” per raccontare le pratiche sconvolgenti ipotizzate dalla magistratura. Quella mattina all’alba c’erano le persone e le disumanizzanti pratiche burocratiche. C’erano i pazienti che si aggiravano nel piccolo centro del Tirreno cosentino come succedeva ogni giorno da anni. E poi c’era la burocrazia: una montagna di carte da compilare, i moduli in uscita dal “lager” e quelli in ingresso alle case di cura del Cosentino. Documenti mancanti, uomini e donne senza identità: un orrore diverso ma non per questo meno spaventoso.
Sullo sfondo di uno scandalo – il sacerdote a capo della struttura, don Alfredo Luberto, girava in Harley e comprava oggetti d’arte mentre i “suoi” malati se la passavano male – diventato un’emergenza sociale c’erano i rapporti tra sanità pubblica e sanità privata. E, neanche a dirlo, un fiume di soldi. I contenziosi tra l’Asp di Cosenza e le cliniche che hanno ospitato gli “ultimi tra gli ultimi” sono ancora in piedi. E il goffo tentativo dell’Azienda sanitaria di chiuderne uno pagando 855mila euro – tentativo poi rientrato, come potete leggere qui – può scoperchiare (seppur tardivamente) un pentolone attorno al quale gravitano grossi interessi economici e portare alla luce, più di quanto già non lo sia, un lacerante conflitto interno all’Asp (sul quale la magistratura avrebbe già puntato i fari).
LA MANAGER INVISA A MAURO Iniziamo con le nebbie amministrative che si addensano sul trasferimento dei pazienti dell’ex Ipg. Raffaele Mauro, direttore generale dell’Asp, cancella la delibera balneare che concedeva 855mila euro a Villa Igea per chiudere la causa sulle rette da corrispondere per i pazienti psichiatrici di Serra d’Aiello. E, allo stesso tempo, firma un j’accuse contro la gestione di quella vecchia procedura. Dopo otto anni di silenzio, in pochi giorni il tavolo tecnico voluto dall’Azienda fa emergere incongruenze e presunte illegittimità. Fa anche di più: cerca di individuare una responsabile per gli intoppi (sempre presunti) nelle procedure. La “prescelta” da Mauro è la dirigente che ha gestito la “normalizzazione degli utenti-assistiti dimessi dall’ex Ipg XXIII”. Si tratta di Giuliana Bernaudo, figura di vertice della sanità pubblica sul Tirreno cosentino.
I SOLDI AGLI NCP Bernaudo, di recente, si è scontrata con il direttore generale sulla gestione dei Nuclei per le cure primarie di Paola e della Media Valle Crati. I guai ruotano attorno alla delibera con la quale Mauro ha pagato le attività dei Nuclei: il dg lo ha fatto pur ammettendo che non c’erano soldi. D’altra parte, dicevano (o meglio direbbero) gli atti, gli Ncp hanno offerto dei servizi che vanno pagati. Totale: circa 400mila euro da corrispondere a un gruppo di medici specialisti per le prestazioni fornite. Il punto è proprio questo: per Bernaudo non c’è alcuna certezza che quelle prestazioni siano state fornite. La dirigente ha scritto sia al commissario al Piano di rientro Massimo Scura che all’Anticorruzione: «Nessuna attività specialistica è stata mai effettuata» nel periodo oggetto di liquidazione in delibera. Da qui nasce il contrasto tra direttore generale e manager. E da qui sarebbe iniziata anche un’attività investigativa in corso da parte della Procura di Cosenza. Lo scontro – l’inchiesta interna sull’Istituto Papa Giovanni XXIII è più di un indizio – non è affatto finito.
ATTO D’ACCUSA MIRATO Perché Mauro riferisce quasi tutte le presunte inadempienze ai comportamenti di Bernaudo. Scrive che «i ritardi nella definizione della procedura (…) da parte del dirigente responsabile (…) appaiono ingiustificati». Spiega che la manager, nel 2012, aveva cambiato le tariffe per i ricoveri (passate da 104 a 44 euro) nonostante non avesse concluso il proprio lavoro di “normalizzazione” («a ben tre anni dalla data del precitato sgombero – scriveva Bernaudo in una relazione utilizzata da Mauro – non si è ancora arrivati alla definitiva collocazione dei pazienti per il setting assistenziale individuato»). In soldoni: la colpa di tutti i problemi sorti sulle tariffe sarebbe della dirigente invisa al direttore generale. Troppa confusione sulle rette: tant’è che un’altra casa di cura, “Villa Iride”, avrebbe rifiutato una transazione sul modello di quella offerta a Ferragosto a “Villa Igea”, avviando di fatto la ricognizione dell’Asp sul “caso Ipg”.
CAOS PAPA GIOVANNI XXIII Da questa ricognizione, scrive sempre Mauro, sarebbe emerso il caos. «Note di credito mai registrate», «fatture non chiuse dalle note di credito che continuano a rappresentare un debito per l’Asp», «delibere che riportano anche a soli pochi mesi di distanza importi diversi per le stesse prestazioni riferite alle stesse strutture». E poi atti nei quali vengono liquidate «somme con motivazioni oggettivamente ultronee rispetto al normale agire amministrativo: “Si rende necessario e urgente procedere alla liquidazione di una somma che possa dare respiro alla struttura”». E la presunta «assenza di delibere finalizzate a garantire parità di trattamento (in tema di ossigeno e di respiro) per tutte le altre strutture che nel tempo hanno ricoverato i pazienti dell’ex Ipg XXIII». Un disastro, in sintesi. Che colloca «l’intera gestione dei ricoverati dell’ex Ipg XXIII, così come i rapporti tra parte pubblica e soggetti privati del sistema sanitario regionale (sempre da improntare a correttezza e buona fede) in una nebulosa contabile, amministrativa e giuridica impossibile da giustificare». La chiosa serve per ribadire che Mauro ha chiesto chiarimenti a Bernaudo il 6 settembre. E la richiesta «non risulta ancora riscontrata». Sembra un atto d’accusa, più che una delibera dell’Asp. Contiene affermazioni gravi, da chiarire con la massima urgenza. Perché, stando agli atti, il rischio è che i “pazzi” di Serra d’Aiello siano stati usati tre volte. Dal prete con la Harley, da chi li ha considerati soltanto delle tariffe e dai vertici della sanità, soltanto per regolare conti privati. Che sono burocratici e politici.
Pablo Petrasso
p.petrasso@corrierecal.it
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