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Lamezia, 50 anni di sogni infranti

LAMEZIA TERME Cosa resta a Lamezia Terme dopo 50 anni dalla sua fondazione? L’unione doveva fare la forza nella Piana, questa striscia di terra fertile che affaccia i suoi tramonti sul golfo di San…

Pubblicato il: 03/01/2018 – 16:34
Lamezia, 50 anni di sogni infranti

LAMEZIA TERME Cosa resta a Lamezia Terme dopo 50 anni dalla sua fondazione? L’unione doveva fare la forza nella Piana, questa striscia di terra fertile che affaccia i suoi tramonti sul golfo di Sant’Eufemia, davanti all’Etna e alle isole Eolie, e si fa ombra con i monti della catena del Reventino. “Vis unita fortior” è scritto sullo stendardo della città. Ma l’unità non ha portato, a conti fatti, più forza.
Cosa resta dopo dieci lustri dell’unione dei tre Comuni di Nicastro, Sambiase e Sant’Eufemia? La strada è lastricata di fallimenti e di sogni infranti.

L’OSPEDALE DISMESSO Non resta di certo l’ospedale. Nella città da 70mila abitanti, al centro della Calabria e circondata da un folto comprensorio, l’ospedale ha i servizi ridotti al lumicino. Chiusa la Tin (Terapia intensiva neonatale), non è stata riaperta da nessuna parte. Il risultato è una pericolosa migrazione sanitaria perché i neonati che ne hanno bisogno devono esser trasferiti dove c’è posto, anche fuori regione. Chiusa l’unità complessa di Otorino, che faceva il triplo degli interventi rispetto a Catanzaro grazie a una brava equipe medica, oggi ridotta quasi a un mero ambulatorio. Chiusa Malattie infettive e la stessa strada sta seguendo Microbiologia e virologia. Strutture importanti per i servizi che deve offrire un ospedale. Non importa che a governare la Calabria o la provincia di Catanzaro vi sia un governo di destra o sinistra: Lamezia non ha potere e i corridoi sempre più silenziosi del suo ospedale ne sono l’esempio più triste e vivido. Le clientele catanzaresi sono più forti di quelle lametine anche per quanto riguarda gli uffici amministrativi. Si preferisce spendere un milione e 200mila euro di affitto nella città capoluogo piuttosto che usufruire delle centinaia di metri quadrati in abbandono a Lamezia Terme, nei locali del vecchio ospedale, della Saub di piazza Borelli, del palazzo di via Salvatore Miceli, nelle strutture dismesse del nuovo ospedale “Giovanni Paolo II”. Tutto si sposta in massa a Catanzaro.

CHIUSURE Chiuso il carcere, che in effetti si trovava in un ex convento, una struttura non adeguata. Ma nessuna struttura  nuova è stata prevista, tutti trasferiti a Siano a Catanzaro. La struttura doveva essere riconvertita in uffici regionali del Provveditorato dell’amministrazione penitenziaria ma neanche questo è stato fatto. Tutto resta a Catanzaro. Anche il Centro cartografico che si trovava nella Fondazione Terina è stato stipato alla Cittadella.

BENI STORICI E ARCHITETTONICI Lamezia ha due centri storici di rara bellezza, quelli degli antichi Comuni di Nicastro e Sambiase, così vicini eppure con stili architettonici differenti. Lamezia è ornata da un castello Normanno-Sevo, possiede il fascino degli scavi dell’antica Terina, i ruderi di un’abbazia benedettina. Ma è tutto chiuso (a parte i centri storici), poco fruibile, aperto solo per determinate manifestazioni e rare occasioni.

CAMPO ROM Non c’è amministrazione che non abbia promesso di smantellare il campo rom più grande del Sud Italia. Scordovillo è una zona franca malsana fatta di fango, lamiere e qualche roulotte. Un posto nel quale nessuno dovrebbe vivere. Sorge a ridosso dell’ospedale, in un crocevia proprio al centro della città dal quale partono i miasmi tossici di ciò che i rom bruciano, copertoni in primis, per ricavare il rame che vendono. Un denso fumo nero si alza e va incontro all’ospedale, il vento lo soffia in faccia al palazzo comunale e alle abitazioni, e agli stessi rom che in quel degrado ancora vivono dagli anni Settanta. Qualcuno è andato via, si è rifatto una via e porta avanti un lavoro, altre famiglie sono state trasferite nel grande complesso detto “Ciampa di cavallo” che rischia di diventare una Scordovillo 2, dalla quale partono fumi e vengono smontati mezzi. Ma il campo rom resta ancora lì, inamovibile e corposo bacino di voti, utile durante le campagne elettorali e anche per qualche ditta senza scrupoli che deve smaltire copertoni e rifiuti speciali.

I SOGNI INFRANTI Aleggiano come fantasmi nell’area industriale di San Pietro Lametino i sogni infranti e i desideri di lavoro e sviluppo della Piana. Quanti speranzosi curricula vennero inviati quando ci si riempiva la bocca del progetto Biofata? Sarebbe dovuto sorgere un grande allevamento di bufale per produrre mozzarelle ma anche coltivare ortaggi su larga scala. Nessun bovino, però, vi ha mai messo piede (pardon, zoccolo) e il sogno, nato da una iniziativa dell’ex sindaco Doris Lo Moro, si è rivelato una grande bufala. È rimasta, a testimoniare il fallimento, la prima pietra posata nel 2004 davanti al presidente della Regione, Giuseppe Chiaravalloti e all’allora sottosegretario all’Industria del governo Berlusconi, Pino Galati. Passa qualche anno a altre idee grandiose vengono partorite per il rilancio dell’area industriale. Si parla del progetto di un autodromo, sognato dal consigliere regionale socialista Leopoldo Chieffallo. Vennero redatti anche dei comunicati stampa in proposito ma solo quelli restano a testimonianza dell’ennesimo progetto fallito. Nei sogni dell’ex presidente della Regione Agazio Loiero, nell’area industriale sarebbe potuta sorgere la nuova cittadella del cinema. Il progetto aveva coinvolto il direttore di Rai Fiction, Agostino Saccà, e i tedeschi della “Bavaria film”. La “luce speciale”, ideale per il cinema, continua a illuminare l’area ex Sir. Ma nessun ciak sarà gridato. Sfortuna, incompetenza, promesse da marinaio, resta il fatto che l’area industriale resta ancora il cimitero dei sogni di uno sviluppo mai realizzato. La lapide più grande sono le vestigia di un pontile costruito negli anni 70, lascito del fallimento dell’agognato polo chimico che portò solo all’esproprio delle terre ai contadini della zona. 

CENTRO PROTESI PER MODO DI DIRE L’ultima notizia risale al 24 dicembre: l’apertura del Centro Protesi Inail avverrà intorno alla metà del mese di gennaio 2018. «Il Centro Protesi Inail di Lamezia Terme si occuperà sia della fase riabilitativa che del day ospital e di quella residenziale costituendo un importante punto di riferimento per il Sud Italia come avviene nel Nord del Paese con la struttura esistente a Budrio», scrive in una nota il deputato di Ala Pino Galati. Ma il Centro Inail di Lamezia Terme, che sorgerà nell’ex area Sir non sarà affatto come quello di Budrio. A Lamezia Terme doveva sorgere il clone di Budrio, vicino Bologna: progettazione ed esecuzione meccanica di protesi e, in più, la riabilitazione. Nel perimetro della Fondazione Terina, circondato da capannoni industriali, aree incolte e abbandonate, e non distante dal depuratore consortile, sono destinati ad essere ospitati 40 posti letto dedicati alla riabilitazione intensiva, a 19 chilometri di distanza dall’ospedale, separati dal centro città da una strada difficile e impervia. Sarà questo, se sorgerà, il risultato finale di un progetto faraonico iniziato negli anni 90. Non ci saranno officine protesi ma un reparto riabilitazione che, a quanto pare, verrà scippato all’ospedale di Lamezia Terme. 

A CHI APPARTIENE LAMEZIA? Dovrebbe appartenere ai propri cittadini una città, essere espressione di una volontà politica manifestata con il voto. Lamezia Terme si trova ad affrontare il terzo scioglimento del consiglio comunale per infiltrazione mafiosa. La relazione della commissione d’accesso prefettizia segnala alcuni componenti del consiglio comunale. Tra questi Francesco De Sarro, eletto a 25 anni, alla sua prima candidatura, con ben 934 voti. Oggi c’è un procedimento aperto contro il padre dell’ex consigliere (ed ex presidente del consiglio comunale), Luigi De Sarro, «perché al fine di ottenere il voto elettorale a vantaggio del di lui figlio, Francesco De Sarro, candidato alle elezioni per il rinnovo del consiglio comunale di Lamezia
Terme, tenutesi il 31.05.2015 offriva e dava a Luigi Gigliotti la somma complessiva in contanti di euro mille con incarico di cercare voti elettorali per il figlio candidato, incarico che il Gigliotti accettava dividendo il denaro ricevuto con Claudio Belville e Luciano Antonio Mercuri i quali compartecipavano al procacciamento dei voti elettorali in favore del candidato Francesco De Sarro». Il problema è che ci sono 934 persone che si sono fatte convincere, comprare, irretire. Con quali promesse? Con quali vantaggi?
Ci sono 734 cittadini che hanno votato per Giuseppe Paladino (ex vicepresidente del consiglio comunale), accusato di concorso esterno in associazione mafiosa perché avrebbe affidato la propria campagna elettorale ai vertici della cosca Cerra-Torcasio. Dello stesso reato, nell’ambito dell’operazione antimafia Crisalide, è accusato l’ex consigliere comunale di minoranza Pasqualino Ruberto, ex presidente dell’ente in house della Regione, Calabria Etica, che con decine di progetti aveva dato posti di lavoro a centinaia di persone. Anche sull’affaire Calabria Etica è in corso un processo. A chi appartiene una città che ha fame di lavoro e nella quale le imprese sono in difficoltà? Appartiene alle promesse, agli accordi sottobanco, al sogno di un posto di lavoro per un figlio, a pochi spiccioli elargiti in cambio del potere più grande: il voto e la possibilità di cambiare le cose.

LAMEZIA CHE RESISTE Eppure ci sono figli che non partono, ragazzi che resistono, aprono locali che rinvigoriscono il centro. Organizzano festival del cinema e festival musicali che portano vita e movimento. Seguono le orme di padri operai e contadini. Creano laboratori dei quali si parla anche nel resto della regione. Imprenditori onesti che non cedono alle cosche e neanche alle facili lusinghe dell’antimafia da parata. È un piccolo inizio, il germoglio pallido di una generazione nuova, dedicata e preziosa. Incrociamo le dita.

Alessia Truzzolillo
a.truzzolillo@corrierecal.it

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