Sull’utilità delle commissioni d’inchiesta circolano da anni, specie tra i cronisti parlamentari più navigati, aforismi non proprio edificanti. In alcuni casi, però, anche se le attività di indagine sono destinate a un nulla di fatto in concreto, questi organismi hanno almeno il merito di tracciare dei quadri generali su situazioni a cui si dà, quantomeno, il crisma dell’ufficialità istituzionale. Quello del «sistema di accoglienza», del trattamento dei migranti e delle «risorse pubbliche impegnate» al settore è certamente un tema su cui la relativa Commissione parlamentare ha messo un punto fermo. Dopo due anni e mezzo di lavori, l’organismo presieduto da Federico Gelli (Pd) ha impietosamente fotografato una situazione che segna una distanza evidente tra il quadro che le leggi (il decreto legislativo 142 del 2015) avevano delineato e la cruda realtà dei fatti.
SISTEMA IN MANO AI PRIVATI Il sistema dell’accoglienza, in Italia, è in larga parte in mano ai privati. E tra questi, ovviamente, non manca chi ci specula. A conti fatti, circa sette centri di accoglienza su dieci non sono a gestione pubblica. «La parte sulla titolarità delle strutture fa risultare un larghissimo ricorso agli strumenti della locazione, mentre sono pochi i beni in proprietà e le strutture demaniali». Sono dati che emergono chiaramente dalla relazione finale della Commissione, un dossier redatto dal dem Paolo Beni e approvato lo scorso 20 dicembre con i voti di Pd e M5s (contraria la Lega, astenuta Forza Italia).
Il sistema rimane quasi completamente sotto l’ombrello dell’emergenza: circa l’80% dei richiedenti protezione internazionale presenti in Italia sono ospitati nei Cas (Centri di accoglienza straordinaria), mentre c’è un’evidente difficoltà a coprire i posti che sono disponibili nei centri Sprar, che pure sarebbero già finanziati. Insomma – si legge nella relazione – si continua a fare «larghissimo ricorso» ai Cas mentre, di contro, si registra «la mancata attivazione di migliaia di posti Sprar». C’è una discrepanza enorme, dunque, tra le risorse destinate alla fase emergenziale dell’accoglienza e quelle (non) impiegate per la fase dell’inclusione, cioè dell’integrazione vera e propria.
BOOM DI AFFIDAMENTI DIRETTI IN CALABRIA Oltre che ad un excursus storico e normativo, le 132 pagine del dossier della Commissione d’inchiesta sono dedicate anche ad alcuni focus su aspetti specifici. Con un’annotazione specifica sulla Calabria.
Il primo focus riguarda le presenze e ne emerge, come detto, lo sproporzionato ricorso alle strutture straordinarie. Poi vi è una disamina sulle strutture, che sono prevalentemente piccole e per larga parte di derivazione para-alberghiera. «Si capisce – emerge dal dossier – che spesso si riconvertono a questa finalità attività imprenditoriali di tipo ricettivo». Insomma si parla di alberghi, agriturismi, affittacamere e ostelli i cui gestori – direttamente o tramite le cooperative – ottengono gli appalti dalle Prefetture senza alcuna gara. A questo proposito, il focus sulle tipologie di affidamento mostra infatti «un largo ricorso all’affidamento diretto e consente di rilevare che il maggior ricorso all’affidamento diretto coincide con i casi di maggiore concentrazione della presenza di migranti in poche strutture, come nel caso della Calabria».
«I centri – ha infine affermato il relatore in Commissione – hanno troppo spesso funzioni poco chiare, non specializzate per segmenti di ospitalità. Tutti fanno tutto, con risultati poco incoraggianti».
Sergio Pelaia
s.pelaia@corrierecal.it
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