I cinquant’anni di Lamezia Terme, che così come ridotta ne dimostra (ahinoi!) tanti di più, meritano una celebrazione partecipata da tutta la Calabria, non fosse altro per la lungimiranza che ebbe nel 1968 il senatore Arturo Perugini che riuscì a comprendere come il futuro dell’area passasse necessariamente per un intervento aggregativo. Riuscì, quindi, ad associare la nobile Nicastro alle funzionali Sambiase e Santa Eufemia, “padrone” dello splendido golfo e, rispettivamente, degli “attracchi” ferroviari e aeroportuali, importanti snodi del trasporto nazionale e oltre.
Una fusione che generò l’attuale Lamezia Terme che, se avesse goduto, delle necessarie attenzioni politico-amministrative sarebbe divenuta la capitale tirrenica da spendere in tutta l’area mediterranea, solo se attrezzata di quel porto che le manca, peraltro dal finanziamento non affatto impossibile.
Dunque, una buona idea di fusione di Comuni non curata, però, nel suo processo evolutivo, con amministratori non lungimiranti, semplicemente impegnati a vantare il primato di terza città della Calabria, senza con questo mettere in piedi una programmazione illuminata da politiche locali di avanguardia e un governo della città attento e adeguato. Un gap che ha costretto le ultime amministrazioni – vilipese da una storia e da una attualità che conta tre scioglimenti sanzionatori per mafia (1991, 2002 e 2017) che umiliano tutti i calabresi – a gestire l’esistente accelerando qualche processo “riabilitativo” e la bonifica dell’offerta amministrativa, dribblando tra attentati mafiosi subiti e gli ostacoli costituiti dai bilanci di ieri violentati da una gestione improvvida della spesa non oculata.
A bene vedere, allorquando si approccia all’argomento fusione dei comuni, sul quale tema siamo tutti d’accordo purché venga portato aventi con ragionevolezza e profondo tecnicismo, occorre stare molto attenti. Guai ad “entusiasmarsi” a prescindere, ovvero tentare di utilizzare l’istituto per guadagnare un consenso politico da spendere nell’immediato. Si rischierebbe di distruggere territori, inguaiare popolazioni e compromettere economie e organizzazioni istituzionali. L’alea insita nelle fusioni è troppo alta perché le stesse possano essere proposte e gestite da improvvisatori o, peggio ancora, dai soliti speculatori del bisogno da soddisfare attraverso le altrettanto solite promesse del nulla.
La fusione, prima che essere un strumento tecnico da attuare attraverso un susseguirsi di adempimenti dal complicato perfezionamento da delegare a chi sa il fatto proprio, costituisce un evento culturale, cui approcciare con la necessaria consapevolezza di possedere o meno gli strumenti e la preparazione necessaria.
Sta succedendo il contrario, e non solo con la fusione di Rossano bensì con quella definita in Presila e con le altre in preparazione ove prevalgono gli innamoramenti dell’idea e non già le ragioni, assistite dalle analisi tecniche (giuridico-economiche, socio-demografiche, urbanistiche, eccetera), che altrove costituiscono i presupposti senza i quali non si va da alcuna parte.
Non solo. Per quella di Corigliano-Rossano, malgrado i rispettivi cittadini abbiano assicurato un largo consenso referendario, si stanno registrando delle anomalie non di poco conto. Perché venga partorita una creatura urbana di cotanta eredità storica e importanza strategica per la Calabria occorrerà la certificata meritevolezza dell’iniziativa, ampiamente motivata dalla Regione, e una buona legge-provvedimento dalla quale conseguiranno la nomina del commissario, gli adempimenti necessari e la formazione democratica degli organi della nuova città. Un percorso non di poco conto, in relazione al quale, prescindendo dalle necessarie capacità della politica e del commissario incaricato a produrre il meglio (e non è affatto facile stante le difficoltà in gioco!), è di primaria importanza la determinazione dei tempi, primo fra tutti quello di legiferare, tenendo conto che non v’è al riguardo alcuna perentorietà.
Da qui le divergenze. C’è chi la vuole cotta, chi cruda e chi a metà cottura. Da una parte ci sono i sindaci, dei quali l’uno interessato a rimanere tale più dell’altro. Dall’altra, c’è la Regione, sino ad oggi completamente disattenta al problema nonostante le sbandierate promosse in giro, che non sta facendo nulla per capire se e a cosa è utile la fusione e come la stessa deve essere fatta. Ci sono poi i fantasisti del linguaggio più o meno offensivo, villano e imprecativo che, così come fanno le majorette, «divertono» i meno attenti e gli stolti.
*docente Unical
x
x