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Otto anni di «raggia» e impegno per Reggio non tace

REGGIO CALABRIA Non solo un anniversario, non solo un momento di riflessione e bilancio, ma anche – se non soprattutto – l’occasione per ribadire i punti fermi attorno a cui il movimento si è costi…

Pubblicato il: 09/01/2018 – 6:28
Otto anni di «raggia» e impegno per Reggio non tace

REGGIO CALABRIA Non solo un anniversario, non solo un momento di riflessione e bilancio, ma anche – se non soprattutto – l’occasione per ribadire i punti fermi attorno a cui il movimento si è costituito e rilanciare l’impegno. Si presenta così “Reggio non tace” al suo ottavo compleanno, celebrato senza fronzoli né autocompiacimento all’auditorium Don Orione. E tocca a Giovanni Ladiana, gesuita rimasto testa e cuore del movimento nonostante il trasferimento in Puglia, partire dalle radici di Rnt per tracciare il solco del lavoro futuro.

A DIFESA DELLA DEMOCRAZIA «Siamo nati per rispondere, mettendoci la faccia, a un attacco della ‘ndrangheta alla magistratura, istituzione preposta alla tutela non solo della sicurezza, ma della democrazia. E fu subito chiaro che nostro fondamento e fine non era creare un altro organismo anti-‘ndrangheta, ma risvegliare le coscienze, personale e sociale, per il perseguimento della giustizia, che è il superamento del bene comune con il superamento delle uguaglianze». Un manifesto chiaro, cui Rnt non ha mai voluto prescindere, e in nome del quale nel tempo si è schierata. Contro la ‘ndrangheta, «che non è solo un fenomeno criminale ma un disegno di potere che vuole garantire il dominio di alcuni su altri e per perseguirlo mira a cancellare gli strumenti democratici, con la violenza e impedendo la giustizia, con la complicità di mondi che si dicono ipocritamente per bene». Ma anche perché gli strumenti di partecipazione democratica alla vita della res publica non rimanessero solo belle parole su carta.

PER RAGGIA E COSTITUZIONE «Noi che il 3 gennaio 2010 ci siamo ritrovati a piazza Castello – dice Ladiana – non eravamo solo cittadini indignati né eravamo lì per mostrare il nostro coraggio: ciascuno di noi in modi diversi ma chiari, era già impegnato a raccogliere le lacrime degli esclusi e a creare percorsi di liberazione fondati sulla responsabilità personale e civile». Un impegno – afferma – che trova le proprie radici e la propria ragione d’essere nella Costituzione, concepita come argine non solo al fascismo, ma al sistema di sopraffazione su cui il fascismo era fondato, e per questo negli anni bui della Repubblica servita a soffocarne i rigurgiti. Ma se la Costituzione è un faro, spiega padre Giovanni Ladiana, è «la raggia» la vera benzina dell’impegno. «È la passione, il fuoco interiore che non siamo riusciti – e abbiamo impedito agli altri e agli eventi – di spegnere. Ecco come guardo quel fondamento che non ci ha permesso di arrenderci e di continuare a lottare per la giustizia. E anzi ci ha aiutati ad obbedire al compito che ci siamo riconosciuti».

PALETTI DI RI-ESISTENZA Un percorso di «Ri-esistenza» ricorda padre Ladiana, che spiega la decisione di rimanere movimento, senza mai istituzionalizzarsi in associazione, quella dell’assoluta gratuità dell’impegno, a garanzia dell’impossibilità di condizionamento, quella di rimanere lontani dai partiti. Tre presupposti che hanno portato Rnt a camminare spesso da sola, ma non hanno impedito al movimento di costruire percorsi comuni con altre realtà in caso di metodi e obiettivi comuni. Sono questi – dice Ladiana – i paletti da cui partire per «fare memoria del futuro». Un’espressione solo apparentemente contraddittoria – spiega padre Giovanni – perché «abbiamo imparato dalla vita che se è vero che possiamo chiuderci nella prigione delle paure e della stanchezza possiamo anche scegliere di non permettere alle prigioni di chiuderci. Il primo sguardo sul futuro è crescere nella consapevolezza del verso in cui vogliamo dirigere i nostri passi. È guardare chi sono i nostri amici e i nostri nemici». Un «impegno di servizio» verso la comunità, verso gli ultimi, verso quei giovani che ancora stentano a farsi coinvolgere, con la consapevolezza – tuona padre Giovanni – di essere «semplici – gente che piega le ginocchia solo una volta, di fronte alla coscienza – e matti».

NIENTE PIÙ ALIBI Un atteggiamento decisamente anticonvenzionale a Reggio Calabria, ma che negli anni – dice il procuratore vicario Gaetano Paci – ha fatto breccia. Da quando quelle bombe sono scoppiare di fronte alla procura e alla casa del magistrato che allora ne era responsabile, Salvatore Di Landro, obbligando i reggini a schierarsi e mettendo l’Italia di fronte alla realtà di una straordinaria emergenza democratica, le cose sono quanto meno in parte cambiate. «Certi alibi – sostiene – oggi non sono più consentiti. Gli imprenditori non possono dire “non denunciamo perché lo Stato non ci protegge” perché lo Stato ha dimostrato di saperlo fare. Il punto è se lo ritengano conveniente o no. Ancor meno alibi ha la politica, che ha continuato a inserire nelle proprie liste soggetti indagati o sul conto dei quali sono emersi elementi importanti di collusione e vicinanza alle mafie». La magistratura sta facendo il suo per rendere la procura quel «palazzo di vetro» che restituisca alla gente la giustizia di cui ha sete e non solo contro la ‘ndrangheta, ma anche contro le inefficienze che si traducono in negazione di diritti. «La repressione però non basta – afferma Paci – Contro la ‘ndrangheta serve quel movimento di popolo, quel sentirsi comunità che la ‘ndrangheta non può creare».

SANZIONI SOCIALI Sulla stessa linea il procuratore generale Bernardo Petralia, che contro la ‘ndrangheta invoca la «sanzione sociale dell’esclusione» dei mafiosi. «Il diritto fa chiasso, il favore – afferma – è educatamente silenzioso. Noi dobbiamo non solo indignarci ma affermare il chiasso del diritto, esercitando la giustizia dell’allontanamento. Se non ci rendiamo partecipi del riscatto morale, non ci sarà riscatto civico e sociale. Bisogna ergersi con distacco contro chi esercita la cultura del favore ed essere pienamente cittadini». Un percorso – afferma il presidente della Corte d’appello Luciano Gerardis – che in otto anni di vita Reggio non tace ha iniziato a tracciare- «Non è ancora una macchina che coinvolge tutta la città – ammette – è un work in progress, ma è un pungolo per la coscienza cittadina e uno spazio di dibattito libero».

 

Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it

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