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I tentacoli del clan Condello sull’Agenzia delle Entrate

REGGIO CALABRIA Si allarga fino a toccare anche l’Agenzia delle Entrate di Reggio Calabria l’inchiesta Eracle, che ha svelato il racket di buttafuori abusivi tramite cui il clan Condello ha imposto…

Pubblicato il: 11/01/2018 – 17:29
I tentacoli del clan Condello sull’Agenzia delle Entrate

REGGIO CALABRIA Si allarga fino a toccare anche l’Agenzia delle Entrate di Reggio Calabria l’inchiesta Eracle, che ha svelato il racket di buttafuori abusivi tramite cui il clan Condello ha imposto la protezione sui locali della movida cittadina, garantendosi anche un utile canale per lo spaccio di droga. Tra i 43 indagati per cui i pm Sara Amerio, Walter Ignazitto, Giovanni Gullo e Stefano Musolino hanno chiuso le indagini c’è anche una dipendente dell’ufficio reggino, Silvana De Paoli.

COSE DI FAMIGLIA Moglie di uno degli indagati, Natale Canale – formale titolare della pizzeria Mirablu dietro cui si nascondevano i clan e autore delle minacce e dei danneggiamenti ai titolari della nota gelateria “Cesare”, “rei” di essere interessati al medesimo locale su cui anche gli “arcoti” avevano messo gli occhi – De Paoli avrebbe usato gli uffici dell’Agenzia per fare più di un favore. Per conto del marito, avrebbe infatti più volte controllato lo stato di una serie di proprietà immobiliari di terze persone, e lo stesso avrebbe fatto per Giuseppe Polimeni. Una violazione delle norme che regolano il lavoro in Agenzia, “truffata” da De Paoli anche sotto un altro profilo.

L’AMICO MEDICO Con la complicità del dottore Giuseppe Perina, oggi anche lui indagato, la dipendente dell’Agenzia avrebbe giustificato una prolungata assenza dal lavoro, attestando a suon di certificati un’inesistente malattia della figlia Fabiana, tanto grave da richiedere continua assistenza. Tutto falso per investigatori ed inquirenti, che per questo hanno iscritto De Paoli nel registro degli indagati anche con l’accusa di truffa aggravata.

VETERINARIO FAI DA TE Chi la laurea non l’ha mai avuta ma per lungo tempo si è improvvisato veterinario – e per questo oggi se lo vede contestato – è Domenico Francesco Condello, figlio del superboss Pasquale. Responsabile della scuderia che porta il nome del casato di famiglia, in parte – hanno scoperto gli investigatori – costruita su suolo demaniale, il figlio del superboss, considerato  «astro nascente dell’organizzazione criminale», era anche a capo del giro di corse e scommesse clandestine che attorno ai suoi cavalli era stato organizzato.

IL MENGELE DEI CAVALLI Per questo deve rispondere non solo di diversi episodi di maltrattamento nei confronti degli animali, ma anche di aver somministrato ai cavalli farmaci inadeguati, non necessari, e persino guasti e mal conservati pur di migliorarne le prestazioni durante le gare. Ovviamente clandestine.

IL GIRO DELLE SCOMMESSE A organizzarle per gli investigatori era proprio Condello, uno dei pochi per sangue e casato, in grado di bloccare una delle fondamentali arterie di collegamento fra la città e la montagna, la Gallico – Gambarie. Quando i cavalli dei Condello si misuravano in velocità e potenza su quella strada, da lì non passava nessuno prima che la corsa fosse finita. E nessuno doveva azzardarsi a disturbare. Anche perché, attorno a quelle gare c’era un giro di scommesse clandestine, con puntate da capogiro.

CONFERMATE LE ACCUSE Per il resto, sono state tutte confermate le accuse nei confronti degli indagati che rispondono a vario titolo di associazione di tipo mafioso, porto e detenzione di armi da guerra e comuni da sparo, tentata estorsione, associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti e intestazione fittizia di beni. Ma sotto inchiesta sono finiti anche altri soggetti nei mesi scorsi non raggiunti da provvedimento cautelare, ma coinvolti nei giri di spaccio e “sicurezza” messi in piedi dagli uomini del clan.

GLI INDAGATI In totale, gli indagati sono 43. Si tratta di Luciano Baione, Francesco Barbaro, Enrico Giovanni Barcella, Mino Berlingeri, Attilio Buontempone, Fabio Caccamo, Natale Canale, Fortunato Caracciolo, Domenico Francesco Condello, Francesco Condello, Paolo Cosoleto, Bruno Antonino Crucitti, Basilio Cutrupi, Simona Cuzzola, Silvana De Paoli, Antonino Destefano, Giorgio Destefano, Francesco Antonio Eneide, Giovanni Falcone, Salvatore Falduto, Francesco Felicetti, Francesco Ferrante, Francesco Ferrara, Carmelo Ficara, Bruno Magazzù, Giovanni Magazzù, Fabio Vittorio Minutolo, Egidio Morabito, Antonino Marino, Andrea Morelli, Cosimo Morelli, Fabio Morelli, Mostafa Nkairi, Domenico Nucera, Michele Panetta, Giuseppe Emanuele Pecora, Bernardo Vittorio Pedullà, Giuseppe Perina, Giovanni Praticò, Fabio Puglisi, Antonino Saladino, Domenico Stillitano e Carmine Surace.

GUARDIANIA 2.0 L’indagine ha permesso di individuare le giovani leve del clan Condello che insieme a famiglie a loro storicamente collegate per anni hanno funestato e controllato le notti reggine. Su locali e “lidi” i clan – è emerso dall’inchiesta – avevano imposto una vera e propria guardiania, assicurata da un branco di buttafuori abusivi, che nessun gestore poteva permettersi ( e nemmeno ha tentato) di allontanare.

SPEDIZIONE PUNITIVA Un servizio security armato e pericoloso, tanto da arrivare ad organizzare una vera e propria spedizione punitiva conclusasi con una gambizzazione, nei confronti di un 28enne di Gallico che si era permesso di “disturbare” una serata. Ma la security dei Condello non si occupava solo di “ordine pubblico” nei locali. Anche di spaccio.

SERVIZIO COCA Nei lidi su cui “vigilavano”, i buttafuori avevano anche la facoltà di far girare la cocaina degli arcoti. Stesso ramo di business al quale i clan della periferia nord – Rugolino e Stillitano soprattutto – avevano ammesso anche gli uomini della comunità rom di Arghillà, affidata a Cocò Morelli. Individuato come reggente della banlieue che si allarga ai piedi del carcere con tanto di battesimo, Morelli ha assicurato agli arcoti un esercito di armieri, pusher e forse sicari. «Diceva di avere a disposizione oltre 500 uomini» ha messo a verbale il pentito Vincenzo Cristiano. E su di loro i clan hanno voluto imprimere il proprio marchio criminale. 

Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it

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