Riceviamo e pubblichiamo:
Egregio direttore, in riferimento all’articolo senza firma intitolato «Cariati, il PD “garantista” contro la sindaca che ha denunciato il clan», pubblicato sulle pagine de “Il Corriere della Calabria” e de “L’Altro Corriere” all’indirizzo https://www.laltrocorriere.it/cariati-pd-garantista-la-sindaca-denunciato-clan, Le chiedo espressamente, a norma della legge sul diritto di replica, di pubblicare sulla medesima testata la presente mia missiva.
Nei giorni scorsi il Partito democratico di Cariati ha dovuto contrastare, a mezzo di un comunicato stampa, illazioni diffamatorie apparse su un quotidiano locale – “La Provincia” -, di proprietà del gruppo IGreco, attraverso le quali si insinuava che le dimissioni di otto consiglieri comunali, avvenute il giorno 3 u.s., sarebbero state finalizzate ad ostacolare una pretesa azione antimafia condotta dalla sindaca decaduta, Filomena Greco.
Sin qui nulla che possa riguardare Lei o il Suo giornale.
Senonché, nella giornata di ieri, quasi a replicare al predetto comunicato del PD cariatese e con un tempismo più che sospetto, compariva nel Suo giornale l’articolo senza firma di cui è sopra riportato il titolo, anch’esso palesemente di parte e finalizzato a travisare i fatti. L’autore, profondo conoscitore della realtà cariatese e con il fine – tutt’altro che recondito – di promuovere, in vista dei prossimi appuntamenti elettorali, una ben individuata parte politica, anzi un potentato politico/finanziario/mediatico di recente “resistibilissima” ascesa, cerca di dividere artatamente i cariatesi in “buoni” e “cattivi” arrogandosi l’autorità morale di distribuir loro “patenti” di onestà/disonestà.
A replicare a tale ennesimo – e per niente sorprendente – tentativo di disinformare i cittadini “elettori” penserà – se lo riterrà – il PD di Cariati.
Quel che invece è di mio interesse personale e che in alcun modo posso lasciar cadere nel silenzio è la chiusura dell’articolo in questione, ove viene inserito il mio nome accostandolo – in maniera del tutto gratuita – ad un’indagine in corso.
Nel respingere al mittente le insinuazioni di cui vengo fatto segno, confermo il mio sostegno e la mia vicinanza, umana e politica, ai tanti ristoratori calabresi che, a costo di grandi sacrifici, conducono onestamente il loro lavoro, con risultati di eccellenza unanimemente riconosciuti a livello internazionale.
A quanto mi è dato sapere, alcuni di questi ristoratori onesti sono soci dell’associazione in questione che è nata per promuovere, valorizzare e tutelare la Cucina italiana in Germania. Se la stessa sia stata o sia tutt’ora oggetto di pressioni criminali da parte della ‘ndrangheta lo verificherà la magistratura che sta procedendo. Di certo io – non essendo un ristoratore – di questa associazione non sono mai stato socio né, ad alcun titolo, ne sono stato parte.
Alla stessa magistratura e alle forze di polizia, impegnate quotidianamente in un immane sforzo d’indagine contro la malapianta del crimine organizzato che avvelena la nostra terra, come cittadino calabrese, confermo il mio massimo apprezzamento e la mia incondizionata gratitudine.
Proprio per non vanificare i sacrifici dei magistrati, degli uomini delle forze dell’ordine e di tutti coloro che nelle istituzioni o da semplici cittadini si oppongono quotidianamente alla presenza pervicace e pervasiva della mafia, ritengo che non si debba permettere ad alcuno – fazione politica, singolo avventuriero o potentato politico/finanziario/mediatico che sia – di strumentalizzare questo tema e di piegarlo ai propri interessi.
È necessario, piuttosto, che la maggioranza dei calabresi onesti – ai quali rivendico con forza la mia appartenenza – rinserrino le fila per difendere la Calabria sana, ispirata ai valori della legalità, della trasparenza e della convivenza civile e democratica.
Una Calabria che ha senz’altro bisogno di una magistratura e di forze dell’ordine che operino concretamente così come sta avvenendo con l’indagine “Stige”, ma che necessita come il pane di un confronto politico e democratico libero sia dalla pervasività della ‘ndrangheta, sia dalla sistematica disinformazione di massa posta in essere da taluni.
Mi dispiace doverlo dire, egregio Direttore, ma credo proprio che, con l’articolo in questione, il Suo giornale non abbia reso un buon servizio a questa causa.
Leonardo Trento
Rispondiamo alle contumelie di Leonardo Trento cercando di fare un po’ di chiarezza. Ci accusa, Trento, di “interventismo” politico in quel di Cariati. Accusa più che mai fuori luogo: il servizio sugli effetti politici dell’operazione “Stige” raccontava fatti. Non è certo il Corriere della Calabria a voler indirizzare il voto in quel lembo di Calabria: ci penseranno, liberamente, i cittadini. Noi abbiamo illustrato, attraverso atti giudiziari, il tentativo del clan di Cirò di ingerire nella gestione del porto. Tentativo che qualcuno ha denunciato e qualcun altro ha preferito tacere (anche questo, purtroppo, è un fatto). Riguardo alla vicinanza tra Trento e l’Armig: non serve essere profondi conoscitori della realtà di Cariati per averne notizia. Bastano un computer e una connessione a internet per leggere articoli nei quali lo stesso Trento viene individuato come membro di una “delegazione dell’Armig” con tanto di foto che lo ritraggono assieme al presidente Cristofaro Amodeo e al sindaco di Offenbach (né, d’altra parte, il Corriere ha scritto di ruoli specifici rivestiti dal politico). Tutto normale: curioso, piuttosto, che Trento prenda le distanze dal sodalizio addirittura con un “a quanto mi è dato sapere”, come se – appunto – quasi non conoscesse l’esistenza dell’associazione. Siamo, infine, d’accordo con l’ex assessore provinciale nel sostegno incondizionato alle forze dell’ordine e alla magistratura. E riportiamo un passaggio contenuto nell’ordinanza di custodia cautelare, che cita la ricostruzione firmata dai magistrati antimafia di Catanzaro rispetto alle torbide ingerenze del clan Farao nella distribuzione dei prodotti alimentari in Germania: “Mario Lavorato (ristoratore calabrese trapiantato a Stoccarda arrestato nell’operazione Stige, ndr) era stato promotore di un’associazione che riuniva più ristoratori italiani in Germania, la “Armig” (Associazione ristoratori mandatoriccesi in Germania), mediante la quale (per come si dimostrerà in seguito) avveniva la distribuzione di più prodotti e beni di imprese controllate ovvero riconducibili al “locale” di Cirò”. Giusto per chiarire che non ci siamo inventati nulla.
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