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Oliverio, il Tafazzi che non ne azzecca una

CATANZARO Licenziando Federica Roccisano, il governatore è riuscito nell’impresa di mettersi tutti (o quasi) contro con un colpo solo. Roba degna di entrare nei manuali sul tafazzismo in politica. …

Pubblicato il: 14/01/2018 – 10:00
Oliverio, il Tafazzi che non ne azzecca una

CATANZARO Licenziando Federica Roccisano, il governatore è riuscito nell’impresa di mettersi tutti (o quasi) contro con un colpo solo. Roba degna di entrare nei manuali sul tafazzismo in politica. Adesso, con l’annuncio indiretto di un imminente “rim-pasticcio”, nessuno, tra gli assessori superstiti, si fiderà più del capo della Cittadella (del resto, perfino la revoca di Roccisano non è stata frutto di una scelta condivisa, né è stata comunicata prima che l’opinione pubblica ne fosse informata), con tutte le conseguenze politiche del caso. In secondo luogo, il benservito all’assessore al Lavoro ha scatenato la tempesta nella già fragile maggioranza in consiglio regionale. Le indiscrezioni parlano dell’entrata in giunta di forze politiche estranee a Palazzo Campanella (vedi Bruno Bossio)? Via alle barricate, semaforo verde per nuove fronde, “avvertimenti” più o meno manifesti affinché il governatore sappia scegliere – e sappia scegliere bene – i nomi con cui affrontare gli ultimi due anni di legislatura. Oliverio, per farla breve, si è messo da solo in un cul-de-sac: perché, pur con tutta la buona volontà, non potrà accontentare tutti; e questo non è un buon momento per deludere qualcuno. Il governatore, dopo tre anni di rapporti all’insegna del mutuo soccorso, ha infatti rotto anche con i fratelli Tonino e Pino Gentile, transitati in Fi con tutto il loro seguito. Che è abbastanza corposo e vede pure la presenza di un pattuglione di consiglieri regionali, tra cui Esposito, Arruzzolo, lo stesso Pino Gentile, Nazzareno Salerno e, molto probabilmente, anche gli ex di maggioranza Pasqua e Sergio. Una transumanza che potrebbe pure far mancare al presidente i numeri necessari per governare. E poi ci sono i mal di pancia: Giuseppe Aieta, fino a ieri uno dei più coriacei alleati, ha preso pubblicamente le difese di Roccisano, il che significa che ha preso pure le distanze dalla decisione di Oliverio.

LE CANDIDATURE Ultimamente, il governatore non ne azzecca una che sia una. Forse è poco lucido. Chi ha avuto modo di parlarci negli ultimi giorni racconta di un presidente «furioso» o «furibondo» a seconda delle versioni. Il motivo è principalmente uno: Oliverio è stato completamente tagliato fuori dalle trattative romane per la composizione delle liste del centrosinistra. «Da Roma non mi hanno neppure invitato a prendere un caffè», avrebbe confidato ai suoi collaboratori più stretti. A decidere sono il ministro Marco Minniti e, in subordine, il deputato Demetrio Battaglia. Al governatore, invece, non resta che crogiolarsi nella solitudine tipica dei numeri primi. Anche questo ostracismo ha ragioni profonde: al Nazareno, Oliverio è stato sempre percepito come un elemento estraneo nel corpo del Pd renziano, un riciclato che, soprattutto riguardo alle ultime vicende legate alla sanità, non ha esitato a mettersi contro (in modo grottesco) il suo stesso governo pur di ottenere quello che voleva e non ha avuto: la guida della sanità.

LA “PROTESTA” L’incatenamento fake passerà alla storia calabrese come uno dei momenti più bassi (e per certi versi esilaranti) della legislatura Oliverio. Come dimenticare le sue parole davanti a un luogo laicamente sacro come il consiglio regionale, dopo le prime resistenze del governo alla sua nomina a commissario: «Non assumo strumentalmente questa posizione, lo faccio in modo sofferto: se non ci saranno risposte, statene certi, Oliverio si incatenerà, perché il governo del Paese, che è il mio governo, deve capire che in Calabria non si può andare avanti con questa situazione». Sono passati esattamente due mesi da questa perentoria affermazione: il Consiglio dei ministri ha lasciato la situazione com’era e Oliverio no, non si è incatenato da nessuna parte. Tanto valeva non dire e non promettere nulla.

TALLINI WIN Il presidente sembra aver perso il suo potere di persuasione, finanche nei confronti dei suoi consiglieri regionali. L’ultima, significativa, debacle è relativa al rinnovo dell’Ufficio di presidenza. Oliverio le ha tentate tutte pur di sbarrare la strada a Mimmo Tallini, indicato dalla minoranza come successore di Giuseppe Graziano. Ha sondato la disponibilità di Baldo Esposito, ricevendo un niet; ha fatto lo stesso con Ennio Morrone, ripagato con un nein. Alla fine, si è dovuto arrendere e ha dovuto subire il sarcasmo dello stesso Tallini: «Oliverio si è dovuto rassegnare».

STIGE E che dire dell’uscita del presidente sull’operazione antimafia Stige, che ha portato all’arresto di 170 persone? Il governatore se ne esce con la solita nota di plauso per i magistrati della Dda di Catanzaro, la cui azione «ha permesso di assestare un colpo importante alla ‘ndrangheta portando alla luce, ancora una volta, il suo radicamento in Calabria, in molte regioni italiane e in Europa, ma anche i suoi collegamenti con settori del mondo politico e istituzionale». Passano poche ore e si scopre che l’azienda di uno degli arrestati, Antonio Spadafora, nel 2014 avrebbe finanziato la campagna elettorale del futuro governatore.  

CORAP E TAR Ma questo è niente di fronte all’ultima censura arrivata dal Tar. Ricapitoliamo: il Corap (Consorzio industriale unico) aveva un revisore dei conti particolarmente scrupoloso, che ha svelato anomalie e irregolarità nella gestione dell’ente, con tanto di denunce alla magistratura ordinaria e contabile. Un amministratore accorto, uno di quelli che non si prendono a martellate nelle parti basse, se lo sarebbe tenuto stretto. Oliverio ha agito diversamente: lo ha cacciato – sostituendolo con un tecnico vicino al fedelissimo capogruppo Pd, Sebi Romeo – perché, a dieci mesi dalla sua nomina, i suoi uffici si sono accorti che non possedeva (cosa ancora da dimostrare) i titoli per ricoprire l’incarico. Sergio Tempo (questo il nome del revisore silurato) si è però rivolto al Tar, che ha sospeso il decreto di Oliverio. Leggiamo con che motivazione: il ricorso del revisore presenta «profili di fondatezza», con riferimento, in particolare, «alle censure con le quali si lamenta carenza istruttoria, difetto di motivazione, tenuto anche conto che la revoca interviene dopo 10 mesi dal conferimento dell’incarico di revisore» e considerato che dall’esecuzione dell’atto firmato da Oliverio «deriva alla parte ricorrente un danno grave e irreparabile». Anche la vicenda Corap, insomma, rientra tra gli esempi classici di come farsi male da soli.

Pietro Bellantoni
p.bellantoni@corrierecal.it

 

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