REGGIO CALABRIA «Informo il Tribunale che Speziali ha chiesto di patteggiare e il 29 gennaio prossimo è fissata l’udienza per discuterne. Dunque la sua posizione a breve potrebbe cambiare parecchio». Arriva al termine dell’udienza, per bocca del procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo la notizia che gela avvocati e imputati impegnati nel processo Breakfast. Alla sbarra ci sono l’ex ministro dell’interno Claudio Scajola, la moglie di Matacena, Chiara Rizzo, la segretaria dei coniugi, Maria Grazia Fiordalisi e lo storico factotum di Matacena, Martino Politi, tutti accusati a vario titolo accusati di aver aiutato Matacena ad occultare il suo immenso patrimonio e a sottrarsi ad una condanna definitiva per mafia.
PIANO DI FUGA Un “piano” in cui Vincenzo Speziali, omonimo nipote dell’ex senatore del Pdl, per i magistrati ha svolto un ruolo fondamentale e che con la richiesta di recente avanzata, di fatto finisce per ammettere. Tramite il suo legale, l’avvocato Giancarlo Pittelli, il consulente calabrese – da tempo latitante in Libano – ha fatto sapere di essere disposto ad accettare una pena di 1 anno e 4 mesi per l’accusa di procurata inosservanza di pena, senza l’aggravante mafiosa, fatta cadere dal Tribunale della Libertà.
BRUTTE NOTIZIE PER SCAJOLA Un’offerta che la Dda sta valutando e che presumibilmente sta preoccupando non poco i suoi coimputati, primo fra tutti, l’ex ministro Scajola. Dopo la condanna della sua segretaria, Roberta Sacco, punita in abbreviato, quella di Speziali sarebbe la seconda sentenza di condanna di un imputato di procedimento connesso, che molto ha a che fare con la posizione processuale dell’ex ministro. Ma questo non è l’unico problema.
OBBLIGATO A PARLARE Speziali è da tempo nella lista testimoni delle difese. Nelle scorse settimane alla convocazione inviatagli dall’avvocato Bonaventura Candido, legale di Rizzo, aveva risposto con una lettera del suo difensore libanese, con cui rivendicava il diritto di essere ascoltato in Libano in nome di non meglio precisate interpretazioni dei vigenti trattati internazionali. Se il patteggiamento andasse a buon fine però, la posizione di Speziali cambierebbe e di molto. Da testimone assistito infatti il consulente calabrese non potrebbe avvalersi della facoltà di non rispondere propria degli imputati di procedimento connesso.
SPIEGAZIONI ATTESE Questo potrebbe complicare le strategie degli altri imputati ed in particolare dell’ex ministro Scajola, il quale – non molto tempo fa – si è limitato a bollare Speziali come «un millantatore». Una definizione che non è piaciuta per nulla al diretto interessato, che dal Libano dove da tempo è latitante ha minacciato smentite e scottanti rivelazioni. Adesso, potrebbe essere obbligato a farle in aula, dove plausibilmente sarà anche chiamato a chiarire una serie di episodi, dalle visite a casa Berlusconi mediate dall’ex ministro, agli incontri romani, fino alla misteriosa lettera inviata al generale Manenti, all’epoca capo dell’Aise, che tanto ha messo in allarme Marcello Trento.
VINCENZO NON SI FA Ufficialmente, si legge nelle informative Dia, Trento è «soggetto che si occupa di progettazioni nel campo dell’energia alternativa», ma quando viene informato da Speziali della missiva inviata a Manenti sembra mostrare contatti e conoscenze anche in mondi diversi da quello delle “attività produttive”. «Vincenzo, non si fa! Vincenzo – quando Speziali lo chiama per un commento su quella che ritiene una mossa sagace – te lo dico perché quello è mestiere mio. Non si fa una cosa … perché adesso li hai allarmati! Ora tu non hai fatto una cosa intelligente. Lì hai fatto una grande cazzata. Perché se tu invece di fare quella cazzata mi avessi detto “voglio fare sta cosa”. io ti avrei detto. non fare così, fai colà. Perché li hai allarmati. Tu per loro sei un pericolo e una parola d’onore per loro vale come zero a briscola». Rapporti, contatti e iniziative che probabilmente dovrà spiegare. Insieme alla rete messa in piedi per portare Matacena in Libano.
ESILIO DORATO Per i pm sarebbe stato proprio Speziali a fare da trait d’union fra i massimi vertici della politica libanese – in particolare l’ex presidente Amin Gemayel, del quale ha sposato una nipote – e Scajola, all’epoca secondo l’accusa impegnato a dare un comodo rifugio ad Amedeo Matacena. Dopo mesi alle Seychelles, l’ex politico armatore era approdato in Arabia Saudita, ma secondo i piani nel giro di poco avrebbe dovuto far rotta su Beirut, dove – stando a quanto assicurato da Speziali – avrebbe goduto di un esilio dorato in Libano, con tanto di documenti che ne garantissero la piena operatività. A conferma di quanto prospettato, Speziali avrebbe anche inviato all’ex ministro una missiva autografa dello stesso Gemayel, con cui l’ex presidente libanese si mostrava disponibile alla concreta realizzazione del progetto, nonostante i ritardi dovuti alle consuete fibrillazioni politiche nel paese dei cedri. Una lettera rinvenuta dagli uomini della Dia nell’ufficio romano di Scajola, di cui Gemayel ha disconosciuto la paternità quando è balzata agli onori delle cronache. Un altro mistero che Speziali sarà tenuto a spiegare.
TESTI A DIFESA? Ma il consulente calabrese potrebbe non essere l’unico teste chiamato dagli imputati a deporre a propria difesa e che finisce per diventare un teste a carico. È il caso, ad esempio, del ragioniere Antonio Chillemi, amministratore della Solemar proprio nei mesi in cui a Matacena arrivava una condanna definitiva per mafia e si avviava il progetto di fusione inversa della galassia di società a lui riferibili. Circostanze non in connessione, ha ribadito Chillemi anche di fronte alle perplessità del procuratore aggiunto Lombardo, che più volte ha chiesto all’ex amministratore se e in che misura i guai giudiziari di Matacena fossero stati oggetto di discussione in agenda. Qualcosa però il ragioniere Chillemi se l’è fatta sfuggire.
DIETRO C’ERA RIZZO «Io non sapevo nulla delle centinaia di società che stavano dietro i soci della Solemar. Ho avviato il progetto di fusione inversa per fare ordine, ma non sapevo cosa ci fosse dietro quelle società». Certo, ha ammesso, nella galassia Matacena c’erano delle società straniere anonime, che sono rimaste a lui sconosciute nonostante tutti i tentativi di conoscerne l’organigramma. E che per questo lo inquietavano non poco. «Non ero d’accordo con questi movimenti». La goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso – afferma – «è stata quando ho scoperto che dietro le società estere c’era Rizzo. Lì il rapporto ha iniziato a deteriorarsi». Stando a quanto dichiarato dal ragioniere, tanto sarebbe bastato a indurlo a iniziare a preparare tutto per lasciare l’azienda. Poi sarebbe arrivato un lungo periodo di malattia «e ne hanno approfittato – dice – per farmi fuori».
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it
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