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I colonnelli calabresi del Pd non stanno sereni

Una cosa l’hanno capita, alla fine di questa due giorni romana, i big del Pd calabrese calati nella capitale con truppe cammellate al seguito: hanno perso il viaggio. Sì, va bene, la direzione nazi…

Pubblicato il: 18/01/2018 – 19:57
I colonnelli calabresi del Pd non stanno sereni

Una cosa l’hanno capita, alla fine di questa due giorni romana, i big del Pd calabrese calati nella capitale con truppe cammellate al seguito: hanno perso il viaggio.
Sì, va bene, la direzione nazionale, la segreteria, il quadrumvirato, l’assemblea dei segretari regionali, metteteci dentro tutto ma quel che ormai è chiaro è che a decidere sarà Matteo Renzi e lo farà in splendida solitudine. Anche in Calabria? Soprattutto in Calabria.
Il passaggio in direzione nazionale servirà solo per votare «la proposta delle liste dei candidati alle elezioni politiche 2018». Proposta che Renzi formulerà «valutate le proposte pervenute dai segretari regionali e tenuto conto delle sollecitazioni dei territori». E siccome valutare non è discutere e neanche confrontarsi e neanche trattare e men che meno votare, ecco che Renzi si tiene le mani libere per stendere le liste con i candidati nei collegi uninominali e nei listini.
Anche sul non meno spinoso problema delle deroghe a chi vanta più di tre mandati ed a chi siede in un consiglio regionale o guida amministrazioni locali oltre un certo livello, tutto dipenderà da Renzi. Infatti, la direzione nazionale prenderà atto della concessa deroga in uno con la presentazione delle liste dei candidati: se il nome è in lista, vorrà dire che la deroga è concessa, altrimenti capitolo chiuso.
Certo, la democrazia interna è fatta salva dal voto finale della direzione che tuttavia può solo accettare la proposta di Renzi oppure bocciarla, il che, tranne cataclismi politici, difficilmente accadrà.
Quindi tutto è in mano a Renzi, il quale resta abbottonatissimo. Al punto da non concedere agli anelanti candidati neanche il suo anestetizzante “…stai sereno”.
E così non sta sereno Mario Oliverio che ha cinto d’assedio il Nazareno per invocare il vertice del listino per Enza Bruno Bossio. Nella battaglia non era solo, manco a dirlo anche nell’occasione a marcarlo stretto c’era Sebi Romeo (fosse in vita, farebbe la gioia di Nereo Rocco, inventore della “marcatura a francobollo”). Il buon Mario non ha lesinato determinazione e impegno, usando anche parole forti. Insomma non si è spinto fino a (ri)minacciare di incatenarsi da qualche parte ma ha tentato di far comprendere che senza una candidatura di suo gradimento potrebbe anche non sentirsi molto impegnato.
I “guastatori”, però, hanno avuto buon gioco nel controbattere che appare quanto meno singolare che il governatore, dopo avere concentrato nelle sue mani la quasi totalità delle deleghe di spesa, mantenuto il controllo nelle nomine di tutti i direttori generali, gestito partite delicate come la stabilizzazione dei precari, invochi per la sua componente un seggio blindato evidentemente non fidandosi della risposta elettorale sui territori.
Tirando le somme, in conclusione, il Pd calabrese si ritrovava a marciare in ordine sparso, incapace di avere una personalità da spendere sui tavoli romani e soprattutto presentandosi come una realtà a forte rischio, attese le risultanze di una serie di indagini sul nodo ’ndrangheta-politica, come testimonia l’operazione Stige della Procura antimafia di Catanzaro. È l’ultima inchiesta sulla collusione tra enti locali e cosche, ma forse non è corretto definirla “l’ultima”, meglio dire “la più recente”.
Tutto ciò con buona pace di Ernesto Magorno, il quale, applicando i dettami del terzo capitolo del “Manuale del bravo segretario regionale”, ogni giorno inizia le preghiere del mattino esortando a “fare quadrato intorno al Partito”.
Peccato che ai quadrati di Magorno manchi sempre un lato. 

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