COSENZA Un incontro imperdibile è in programma domenica 21 Gennaio a partire dalle ore 18 al Teatro dell’Acquario di Cosenza. “Elio Petri. Indagine su un cineasta al di sopra di ogni sospetto” è una kermesse ideata e condotta da Ugo G. Caruso per ricordare uno dei più grandi e originali registi cinematografici italiani, ingiustamente dimenticato per un complesso insieme di motivi.
Vincitore della Palma d’oro a Cannes con “La classe operaia va in paradiso” e dell’Oscar con “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto”, nonchè di vari altri premi nazionali e soprattutto internazionali, Petri è caduto ancor più di altri suoi validissimi colleghi, in un oblìo profondo e prolungato, nel suo caso però non riconducibile alla generale smemoratezza che colpisce gli italiani, ma a qualcosa di meno neutrale, quindi di più sospetto.
Ugo G. Caruso, storico del cinema, da sempre ammiratore del regista romano che gli si rivelò negli anni liceali con le sue opere più memorabili, ha chiamato a raccolta intorno a sè tre figure appartenenti ad altrettante generazioni: il giornalista e cinefilo quarantenne Alfonso Bombini, lo storico, infaticabile animatore del Circolo Cinema Cosenza, Franco Plastina e l’ex parlamentare dei Ds, Massimo Veltri, docente universitario e animatore culturale in molteplici vesti.
Insieme cercheranno di approfondire la non comune personalità artistica del regista, le sue molte tematiche, il mondo culturale di riferimento, la sua peculiarità artistica ed espressiva, le ragioni della rimozione fraudolenta dalla memoria cinematografica e civile collettiva.
Petri infatti per la vulgata è associato ad una precisa stagione della nostra cinematografia, quella più engagé e di denuncia. E non v’è dubbio che nel suo lavoro di cineasta egli riversò la grande passione passione politica, la tensione ideale di militante eretico della sinistra italiana, basti pensare su tutti al al suo “Tre ipotesi sulla morte di Giuseppe Pinelli”. Ma Petri non può essere appiattito e ridotto ad una stagione pur memorabili e rimpianta della cinematografia italiana. Egli seppe indagare anche sulla condizione esistenziale dell’individuo, sulle sue angosce individuali come sul malessere sociale, estendendo questa esplorazione dagli ambienti borghesi esplorati da Antonioni a figure più desuete e marginali come lo stagnino de “I giorni contati” (1962), interpretato da un indimenticabile Salvo Randone, ispirato alla figura del padre del regista e recentemente riproposto a Roma da Caruso o all’operaio cottimista Lulù Massa cui dà corpo e voce Volontè ne “La classe operaia va in paradiso” (1972).
Senza dimenticare il suo gusto spiccato per il meccanismo giallo, il piacere dell’intreccio dove la struttura narrativa del poliziesco assolve alla funzione di una ricerca più profonda, psicologica e filosofica e a riprova di ciò basti citare il proficuo rapporto con l’opera letteraria di Leonardo Sciascia. E comunque va ricordato che Petri fu anche regista “visuale” moderno, di notevole e inconfondibile cifra stilistica per la sua attenzione alle arti figurative e il rigore compositivo del suo cinema.
Alla kermesse pensata da Caruso hanno aderito le tre principali associazioni di cultura cinematografica operanti nell’area urbana cosentina, ovvero il Circolo Cinema Cosenza, il Cineforum “Falso Movimento” di Rovito e “Cinepresi”. La serata è dedicata alla memoria di John Francis Lane, giornalista e critico cinematografico inglese residente in Italia dal dopoguerra e scomparso pochi giorni fa a Cosenza dove viveva da oltre venti anni, amico di Petri e attore per gioco nel suo film “Un tranquillo posto di campagna” (1968).
Il costo dell’ingresso è di 5€. Il programma propone pertanto in apertura l’interessante documentario “Elio Petri. Appunti su un autore” (2005) firmato da Federico Bacci, Nicola Guarneri e Stefano Leone, che racchiude interviste al regista, sequenze dei suoi film, filmati originali, testimonianze di collaboratori come Ugo Pirro, Berto Pelosso, Ennio Morricone e Dante Ferretti, dello storico francese del cinema, Jean Gili, di colleghi come Robert Altman, Francesco Maselli, Giuliano Montaldo, Gillo Pontecorvo, Bernardo Bertolucci, Marco Risi, di attori come Mariangela Melato e Flavio Bucci. Una carrellata di immagini che rievocano in modo vivido ed emozionante non solo il lavoro di Petri ma un ventennio – gli anni sessanta e settanta – in tutto il loro fervore ideale, intellettuale e politico.
A seguire, dopo la conversazione con il pubblico di cui abbiamo già detto, seguirà una breve pausa che consentirà eventualmente ai partecipanti di rifocillarsi o di sostare nell’accogliente bistrot del teatro, si ripartirà alle 21.15 con la proiezione di “Todo modo” (1976), forse il titolo più controverso e “maudit” nella filmografia del regista, certamente quello la cui elusione e poi rimozione dopo la morte di Aldo Moro, amareggiò molto Petri e secondo alcuni, acuì il suo incupimento accelerandone fatalmente la precoce dipartita avvenuta nel 1982, dopo la realizzazione de “Le mani sporche” (1978), trasposizione per il piccolo schermo del dramma di Sartre, affidato al solito amico Marcello Mastroianni e alla nuova compagna, Giuliana De Sio e del tetro e pessimistico “Buone notizie” (1979), interpretato e coprodotto insieme allo stesso Petri da Giancarlo Giannini. Tratto dall’omonimo romanzo di Sciascia, “Todo modo” ha già l’aria di un testamento artistico, di un’opera ultima, definitiva, con quell’atmosfera metafisica, apocalittica, da autentico giudizio universale quantunque terreno. Inviso per ovvie ragione all’opinione pubblica moderata e per non meno comprensibili motivi alla sinistra comunista, per via di quel processo alla Democrazia Cristiana in cui sembra confluire il “j’accuse” pasoliniano degli “Scritti corsari”, dunque in aperta collisione con la strategia del compromesso storico, “Todo modo” venne sottilmente boicottato, celato, sospinto ai margini, ridotto all’invisisibilità, infine cancellato dalla memoria degli italiani. Questa rimozione da parte degli ambienti maggioritari della sinistra molto dispiacque a Petri che proprio a quella parte politica si rivolgeva, cercando di instillare un dubbio e di sollecitare una discussione, un ripensamento. La categorica negazione del suo film da parte degli interlocutori generò inevitabilmente delusione e depressione nel suo autore che si confermava troppo libero e non allineato, rispetto al fronte intellettuale cui pure aderiva.
“Todo modo” resta perciò un film poco visto e pur con le sue imperfezioni, ancora forte, potente, dalla carica per gran parte inesplosa. Ecco perchè l’occasione offerta è preziosa, come d’altronde l’invito a rivedere e riconsiderare tutta l’opera filmica di Petri.