La fusione di Corigliano Calabro e Rossano, per l’importanza strategica che riveste per la Calabria intera, avrebbe meritato ben altra attenzione di quella riservatale, sia dalle istituzioni che dai protagonisti del sistema produttivo e sociale. È quanto vado scrivendo dall’esordio dell’interessamento della Regione al suo iter. Ciò al fine di evitare l’errore marchiano che la Regione ha commesso con l’istituzione dei Casali del Manco che, a circa nove mesi dalla sua nascita (5 maggio 2017), ha reso vittime del disservizio assoluto gli oltre 10mila cittadini, privandoli di ogni riferimento istituzionale, a tal punto da non sapere a chi e come chiedere ciò che veniva precedentemente garantito loro dai cinque comuni. Un’iniziativa etichettata come «caso curioso» da “Il Sole 24 Ore”, tanto da aggiungere un’ulteriore brutta figura alla Calabria.
Una siffatta propaganda negativa dovrebbe incentivare a un maggiore impegno la Regione e i Comuni coinvolti nella ricerca delle migliori soluzioni, rinviando al mittente ogni speculazione di basso profilo del tipo quelle esercitate da chi, autoreferenzialmente, vanta sedicenti titoli di rappresentanza della collettività, sino ad oggi posseduti esclusivamente dai sindaci.
Il problema che si pone è dunque quello di fare le cose per bene dopo le disattenzioni che hanno caratterizzato la procedura sino ad oggi. Nessun progetto di fattibilità è a tutt’oggi emerso, tanto da sottrarre alla Regione ogni elemento di giudizio sulla meritevolezza dell’iniziativa, necessaria per far sì che il consiglio regionale decida consapevolmente e non diventi mero organo di ratifica della volontà popolare, conseguita con una sensibile assenza dal voto. Una volontà che va certamente rispettata, ma da ritenersi non affatto sufficiente per decidere, altrimenti il referendum non sarebbe stato di tipo consultivo. Quindi, in assenza degli elementi di prova sulla giustezza della pretesa fusione – che, giova ripetere, ha visto consistenti segmenti di popolazione e uno dei due sindaci perplesso sulla convenienza a chiudere un percorso senza alcun supporto che ne attestasse la correttezza, la convenienza e la fattibilità – la Regione dovrebbe evitare di commettere gli errori sino ad oggi registrati nell’istruire, nel proporre e approvare i provvedimenti legislativi di sua competenza. La proposta di legge a mia firma e del collega Sergio sul riordino della disciplina è un’occasione importante da non sprecare al fine di aggiustare il tiro.
Al di là di quanto appena sottolineato, che di per sé impedirebbe ogni decisione corretta al riguardo, pena l’assunzione di una responsabilità che giammai mi assumerò nel determinare una fusione della quale tutti avranno verosimilmente di che pentirsi, esiste oggi il dubbio di quanto e come legiferare. Il più importante dei problemi, che tanto impegna e impensierisce i pretendenti al ruolo di sindaco della città jonica, è soprattutto quello di quando si avrà al voto, tenuto conto che Corigliano è comunque in odore di scadenza di mandato (primavera 2018).
Ebbene, in proposito se ne sentono di cotte e di crude. Un sindaco che vorrebbe, prima, rinviare il tutto al 2020-2021 e, poi, affrettare tutto ad oggi. Un altro che vorrebbe differire l’evento elettorale locale alla primavera del 2019, al fine di preparare coscientemente il «parto» del nuovo ente. In mezzo l’obbligo politico di individuare le scadenze più consone all’interesse della nuova città e dalla Calabria intera.
Prescindendo dalle imprecisioni (gravi) che si sono lette in giro, tra le quali quella di ritenere perentorio il termine dei famosi 60 giorni, esistono due incognite di fondo alle quali dovere offrire una corretta soluzione.
La prima riguarda come decidere al meglio, nel senso di valutare bene come generare una città che abbia non la speranza ma la certezza di essere funzionale alla crescita delle due realtà da mettere insieme per farne una sola. Un compito difficilissimo per non dire impossibile in assenza della prevista, ma tutt’oggi mancata, legge di riordino del sistema territoriale regionale, senza il quale si fa tutto a naso.
La seconda riguarda, per l’appunto, la data del voto che, ben inteso, non è decisa dalla Regione (come qualcuno erroneamente pensa ovvero auspica) bensì fissata dal prefetto, fortunatamente assistito da giuristi di rango. Al riguardo, è da tenere presente che le elezioni per la nuova città non hanno una loro disciplina specifica, per non essere codificata tra le fattispecie contemplate nella legge n. 182 del 7 giugno 1991. Ivi si regolano le elezioni conseguenti alla fine ordinaria di un mandato e quella anticipata. In entrambi si interviene per rinnovare i consigli decaduti di Comuni esistenti, in quanto tali dotati di tutto ciò che serve per esercitare le loro funzioni. Nel caso della città nuova i comuni di Corigliano Calabro e Rossano vengono estinti contestualmente all’istituzione del nuovo ente, generato però sulla carta. Proprio per questo privo degli elementi giuridico-economici che assicurano la sua esistenza funzionale, ivi compresa la burocrazia di supporto alla erogazione dei servizi all’utenza e indispensabile per costruire ciò che serve.
Dalla carta alla realtà esiste la stessa differenza che c’è tra il dire e il fare, con in mezzo il mare (Casali del Manco docet), nel quale si rischia di fare affogare una collettività intera. Pensare di andare al voto di qui a 3/4 mesi, come si vocifera in giro, sarebbe pertanto da irresponsabili.
x
x