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«Fusioni tra Comuni e irregolarità: i record della Calabria»

In otto anni 336 comuni in meno ad opera delle fusioni, con un boom nel 2016 con 29 aggregazioni perfezionate (si veda Il Sole 24 Ore 16 gennaio 2018). Insomma, un bel record cui ha certamente inci…

Pubblicato il: 22/01/2018 – 11:42
«Fusioni tra Comuni e irregolarità: i record della Calabria»

In otto anni 336 comuni in meno ad opera delle fusioni, con un boom nel 2016 con 29 aggregazioni perfezionate (si veda Il Sole 24 Ore 16 gennaio 2018). Insomma, un bel record cui ha certamente inciso l’incremento delle agevolazioni statali ad hoc, sia finanziarie che organizzative. Molte fusioni sono state  messe a punto al meglio, assistite da corretti studi di fattibilità preventivi. Altre fatte alla meno peggio, le peggiori in Calabria a causa di una legge inadeguata e dall’assenza assoluta di ogni progetto nonché dalla mancata approvazione della prevista legge di riordino del sistema autonomistico locale. In quasi tutte si è registrata l’assenza di una «prova» dell’intervenuta valutazione sulla meritevolezza dell’iniziativa da parte delle Regioni chiamate a legiferare.

 

LE ELEZIONI AMMINISTRATIVE Nella totalità delle fusioni è, invece, mancato il corretto riferimento alla partecipazione democratica generativa degli organi del nuovo ente locale: l’appuntamento elettorale. A disciplinarlo si è invocata, generalmente, la legge n. 182 del 7 giugno 1991. Più precisamente, l’art. 2 che prevede l’elezione dei consigli comunali da rinnovarsi per motivi diversi dalla scadenza ordinaria del mandato del sindaco. Con questo, è stato fatto proprio il criterio secondo il quale le tornate elettorali vadano fissate tra il 15 aprile e l’1 giugno successivo alla formazione della causa che ha determinato l’obbligo dell’anzidetto rinnovo degli organi municipali.

 

UN ERRORE INTERPRETATIVO E UNA FATTISPECIE NON REGOLATA Ed è qui che casca l’asino. Atteso che da un tale improprio riferimento legislativo, cui si sono uniformate le Regioni nel fissare le regole e gli  step procedurali ottimali da seguire nelle fusioni dei Comuni ricadenti nei loro rispettivi territori, nasce il problema. Il tutto a causa di una leggerezza interpretativa che ha rischiato e rischia di collassare l’erogazione in favore delle loro collettività delle funzioni fondamentali assegnati ai Comuni, ma anche di recare pregiudizi al corretto mantenimento dei rapporti interistituzionali.
Una opzione, questa, forse praticabile in quelle per incorporazione ma non già a quelle per unione, atteso che prevedono e determinano, rispettivamente, il mantenimento del comune incorporante e l’estinzione di tutti i Comuni interessati.
Insomma, il vero problema è rappresentato della data del voto che, ben inteso, non è decisa dalla Regione bensì fissata dal ministero dell’Interno, ovverosia dal Prefetto del luogo. Una scadenza dalla quale dipendono i necessari adempimenti funzionali ad assicurare l’erogazione dei servizi senza soluzione di continuità e l’intrattenimento dei rapporti con le altre istituzioni.
Ebbene, al riguardo, è da tenere presente che la fattispecie della tornata elettorale, da individuare a seguito di una fusione di Comuni, non rintraccia nell’ordinamento una sua disciplina specifica. Ciò in quanto è rappresentativa di un evento non affatto contemplato dalla legge n. 182 del 7 giugno 1991, dal momento che lo stesso non rientra nell’ipotesi prevista dall’art. 2.
Da una parte, è infatti vero che lo stesso è applicabile nei casi diversi dalle elezioni da celebrarsi a seguito di scadenza naturale del mandato, riguardante il rinnovo dei consigli comunali, ovviamente, di Comuni già esistenti. In quanto tali dotati di tutti gli strumenti giuridici, economici e programmatici che occorrono per il loro funzionamento a regime.
Dall’altra, nel caso che ci occupa non è così! Nelle fusioni per unioni – a differenza di quanto avviene con quella per incorporazione ove il Comune incorporante rimane e garantisce, comunque, una continuità istituzionale ed erogativa – concretizza l’istituzione di un nuovo comune e la contestuale estinzione di quelli fusi. Di conseguenza, il nuovo comune è del tutto privo degli elementi giuridico-economici che assicurano la sua esistenza funzionale, ivi compresa una burocrazia di supporto unitariamente organica alle rinnovate esigenze del nuovo Comune.

 

UN RINNOVO IMPOSSIBILE DEGLI ORGANI MUNICIPALI A ben vedere, non trattasi per nulla di un rinnovo di un consiglio comunale esistente – così come disciplinato nelle ipotesi trattate dalla legge 182/1991 – bensì della elezione di organi (Consiglio e Sindaco) nuovi di zecca di un Comune che prima non c’era, proprio per questo non affatto disciplinate dall’anzidetta legge.
Concludendo, giova ripeterlo, la legge n. 182 del 7 giugno 1991 ha come obiettivo il rinnovo di un consiglio comunale decaduto e come presupposto l’ineludibile esistenza del rispettivo Comune. Due previsioni che, nell’ipotesi di istituzione di una nuova Città con contemporanea estinzione dei Comuni fusi, allo stato non ci sono con la conseguenza che la suddetta legge non è applicabile al caso di specie.

 

L’AUSPICIO Al legislatore che verrà, quindi, il compito di implementarla e, per quanto riguarda le fusioni in atto, a carico dei Prefetti l’impegno di evitare – in assenza di una norma che gliele impongano – la fissazione di elezioni improvvide (da celebrarsi, per esempio, nel medesimo anno dell’istituzione del Comune, se perfezionata prima del 24 febbraio) che potrebbero esser causa di danni irreparabili alle istituzioni interessate e ai cittadini, vittime incolpevoli delle solite previsioni normative che non ci sono.
Fino a quando ciò non avverrà, le non regole vanno rispettate ovunque, Calabria compresa, a cominciare dalla fusione di Corigliano e Rossano!

(Anteprima dell’arrticolo che sarà pubblicato sul Sole 24 Ore)

 

 

*docente Unical 

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