MILANO Otto persone, alcune delle quali, secondo gli inquirenti, «contigue alla ‘ndrina Barbaro – Papalia», sono state arrestate nell’ambito di un’operazione coordinata dalla Dda con al centro una presunta associazione finalizzata al traffico internazionale di stupefacenti. Le indagini hanno portato anche al sequestro nel box-cantina nella disponibilità di uno degli indagati di 7 fucili e 2 pistole, munizioni, alcune moto rubate, una pressa industriale usata per confezionare lo stupefacente e altro materiale connesso ai traffici. A uno dei fucili sequestrati, si legge nella nota della Procura di Milano, erano state segate le canne allo scopo di aumentarne la potenzialità offensiva, mentre le altre armi avevano la matricola abrasa oppure erano state rubate.
Tra i destinatari delle ordinanze di custodia cautelare in carcere chieste dal procuratore aggiunto Alessandra Dolci e firmate dal gip Alfonsa Maria Ferarro figurano anche Antonio e Graziano Barbaro, appartenenti alla famiglia ‘ndranghetista. In questa indagine la Dda non contesta l’aggravante mafiosa. Secondo la Dda e la Guardia di Finanza che ha eseguito gli arresti, gli indagati avevano costituito «un’articolata associazione a delinquere finalizzata al traffico anche internazionale di stupefacenti, avente disponibilità di mezzi, strutture e armi, operanti in alcuni Comuni dell’hinterland milanese (Corsico, Assago, Buccinasco e Trezzano sul Naviglio) e composta da diversi soggetti, quasi tutti pregiudicati, per reato specifici e alcuni dei quali contigui alla ‘ndrina Barbaro-Papalia di Platì».
Le indagini sono nate dall’esplosione di alcuni colpi di pistola contro la saracinesca di un locale pubblico a Corsico di proprietà di uno degli indagati. L’inchiesta ha ricostruito diverse cessioni di cocaina per un totale di circa otto chilogrammi e ha portato all’arresto in Spagna di un latitante per reati di stupefacenti al quale l’organizzazione avrebbe assicurato supporto e sostegno logistico. L’organizzazione era attiva in Colombia, Brasile, Spagna, Olanda e Bulgaria «attraverso alcuni degli indagati, che spesso si recavano in quei Paesi o il latitante, che si nascondeva in territorio spagnolo utilizzando false generalità». «Le indagini sono risultate particolarmente complesse ed articolate – spiegano gli inquirenti – in virtù del linguaggio criptico adottato dagli indagati, che spesso oltre ad impiegare sistemi di comunicazione di ultima generazione utilizzavano una terminologia convenzionale finalizzata a coprire il vero oggetto delle loro conversazioni, nonché per l’utilizzo sistematico di numerose autovetture con targa straniera, il cui reale utilizzatore risultava, quindi, difficilmente identificabile».
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