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È morto Aldo Micciché, il faccendiere dei due mondi

REGGIO CALABRIA È stato dichiarato chiuso «per morte del reo» lo stralcio del processo “Cent’anni di storia” che vedeva imputato Aldo Miccichè. Il faccendiere calabrese, arrestato qualche anno fa a…

Pubblicato il: 24/01/2018 – 16:18
È morto Aldo Micciché, il faccendiere dei due mondi

REGGIO CALABRIA È stato dichiarato chiuso «per morte del reo» lo stralcio del processo “Cent’anni di storia” che vedeva imputato Aldo Miccichè. Il faccendiere calabrese, arrestato qualche anno fa a Caracas dopo una lunga latitanza, si è spento in ospedale il 4 gennaio scorso, portando con sé tutti i suoi segreti. Ex dirigente della Democrazia cristiana – originario di Marostica, piccolo centro della Piana di Gioia Tauro – è, secondo le tesi dell’accusa, sempre rimasto fedele al clan Piromalli di Gioia Tauro.  A svelarlo agli inquirenti è stato lo stesso Miccichè nel corso delle telefonate intercettate dagli investigatori, che hanno pizzicato il faccendiere dispensare consigli e supporto al rampollo del clan Piromalli, Antonio, come al suo luogotenente Gioacchino Arcidiaco. Ma non solo. 
Dall’utenza di Miccichè in quegli anni di indagini partiranno e arriveranno telefonate di ministri, sottosegretari, cardinali, banchieri italiani e vaticani, faccendieri e intermediari finanziari. Tutti soggetti con cui l’ex dirigente Dc avrebbe intrattenuto per anni raccordi cordiali e confidenziali, tanto da potersi fare latore di esplicite richieste e altrettanto esplicite offerte. Un ruolo che per gli inquirenti ha potuto ricoprire nel tempo solo in virtù dei suoi legami con il clan Piromalli, in nome del quale era autorizzato a parlare e a trattare.
Grazie alla sua viva voce – ascoltata con interesse dagli uomini del Ros – che gli inquirenti sono riusciti a ricostruire le manovre attraverso cui tra l’ottobre e il dicembre 2007, il clan avrebbe tentato di ottenere l’attenuazione del regime di 41 bis cui era sottoposto il boss Giuseppe Piromalli e il conferimento di una funzione consolare al figlio di quest’ultimo, Antonio, per tenerlo al riparo da possibili inchieste.
Ma fra gli “amici” con cui Miccichè non ha mai tagliato i ponti c’è anche l’ex senatore  Marcello Dell’Utri. 
È proprio con lui – che mai sarà indagato per la vicenda – che Miccichè avrebbe architettato la presunta alterazione del voto degli italiani all’estero in occasione delle elezioni del 2008. È infatti pochi mesi prima di quella consultazione elettorale che gli investigatori lo ascoltano chiacchierare al telefono con l’ex senatore del Pdl – e prima della condanna in secondo grado per concorso esterno in associazione mafiosa, storico braccio destro di Silvio Berlusconi –, Marcello Dell’Utri, al quale assicurava di essere in grado di bruciare e sostituire migliaia di schede con i voti degli italiani in Venezuela. Concetto ribadito, alcuni giorni dopo, anche a Filippo Fani, stretto collaboratore dell’ex senatrice Barbara Contini, all’epoca responsabile Esteri del Pdl. La contropartita richiesta sarebbe stata, secondo l’accusa, un’attenuazione del regime di 41 bis cui era sottoposto il boss Giuseppe Piromalli e il conferimento di una funzione consolare al figlio di quest’ultimo, Antonio, per tenerlo al riparo da possibili inchieste. Un progetto in seguito naufragato – si leggeva nell’ordinanza – solo per «l’impossibilità dei referenti politici e istituzionali contattati di affrontare e risolvere la situazione per tutto un insieme di problemi dovuti sia alla paura dei soggetti di muoversi in un terreno così pericoloso, e sia alle difficoltà giudiziarie del ministro della Giustizia. Neppure “il Senatore” ha possibilità di muoversi in questo campo». 

Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it

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