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«La Memoria e l’utopia di unire arabi ed ebrei»

La “Giornata della memoria” per non dimenticare lo sterminio dei due terzi degli ebrei d’Europa organizzato dalla Germania nazista e dai suoi alleati. Sapendo che gli orrori sono sempre in agguato …

Pubblicato il: 27/01/2018 – 12:33
«La Memoria e l’utopia di unire arabi ed ebrei»

La “Giornata della memoria” per non dimenticare lo sterminio dei due terzi degli ebrei d’Europa organizzato dalla Germania nazista e dai suoi alleati. Sapendo che gli orrori sono sempre in agguato (la storia del “secolo breve” non ha insegnato granché!) quando le democrazie si rammolliscono o lasciano briglia sciolte al liberismo hard che saccheggiando le risorse della terra genera conflitti, immense povertà e sordi rancori, il 27 gennaio è l’occasione per riflettere sui temi della pace, del dialogo fra popoli e dell’importanza di guardare alle diversità culturali in chiave non di minaccia ma di  opportunità. In una regione come la Calabria che ha radici ebraiche profonde e che di “anusim” (ebrei forzati alla conversione al cattolicesimo) nella sua popolazione ne annovera all’incirca il 40 per cento, la “Giornata della memoria” è anche l’occasione per affilare lo sguardo sul presente. E a Catanzaro la si è voluta consumare all’insegna della sfida della convivenza interreligiosa temprata da forti dosi di idealismo e realismo e lanciata da un tizio (è stato definito «una civetta in grado di vedere nella notte nonostante il buio pesto») che, da ingegnere, non solo non ha voluto issare muri, ma neppure ponti di cemento, che era l’oggetto della sua tesi di laurea. S’è, invece, imbattendosi in Cristo a 24 anni e consapevole che dalle religioni non fioriscono necessariamente germi di pace, caricato la croce e realizzato in Israele, in una collina di 40 ettari «senza acqua, senza alberi, con tanti sassi e spine», un villaggio in cui far vivere arabi ed ebrei: “Neve Schalom Wahat al – Salam” (in italiano: il villaggio della pace) che propugna la coesistenza dei due popoli e di più culture. Quando papa Francesco annuncia che «noi non vogliamo vincere l’odio con più odio, vincere la violenza con più violenza, vincere il terrore con più terrore. Noi adesso non ci metteremo a gridare contro qualcuno, non ci metteremo a litigare, non vogliamo distruggere», se volesse indicare un esempio di parole trasformate in pietre, non dovrebbe fare altro che indicare il sogno realizzato di padre Andrè Hussar: «L’uomo dalle quattro identità». Nato al Cairo nel 1911 da genitori ebrei (uno ungherese l’altra francese), cittadino israeliano convertito al cattolicesimo. Andrè, da laico, e Bruno da quando, gettandosi a capofitto nella mischia, pensò a Brunone di Colonia che proprio in Calabria, a Serra San Bruno, edificò la sua prima grandiosa Certosa. Uno sguardo sul presente grazie alla “Giornata della memoria” incentrata sul villaggio della pace. Proprio ora che Israele e i Territori palestinesi tornano d’attualità con il corollario di questioni irrisolte. L’impressione è che non vi sia, dopo la sparata di Donald Trump d’insediare l’ambasciata Usa a Gerusalemme e con la comunità internazionale presa da altre priorità, alcuna possibilità di pace fra israeliani e palestinesi, e che, anzi, i tratti dell’intolleranza tipici di un’esacerbata chiusura nazionalista e anche  xenofoba (se si guarda anche  alla recente  decisione del  premier Netanyahu di espellere eritrei e sudanesi), anziché dissolversi si stiano intensificando.
Le proteste dell’Europa per la catastrofica sortita di Trump o le innumerevoli contrarietà alle scelte di Netanyahu verso i migranti rischiano, tuttavia, di non incidere in una realtà stagnante e drammatica, in cui, paradossalmente, il popolo della diaspora che nel ’48 ha dato vita allo Stato d’Israele, pare aver dimenticato sia la propria tormentata storia che persino le norme bibliche sul rispetto del forestiero. Nello scenario lugubre che s’intuisce  e nel trito ripetersi di soluzioni solo enunciate  (due popoli per due Stati, tesi che risale agli Anni 70), forse l’unica luce in fondo al tunnel è rappresentata da scuole d’umanità come quello di  “Neve Shalom Wahat al-Salam” che l’associazione “Amici italiani di NSWAD”, come le sue 12 sorelle in altri paesi del mondo, sostiene moralmente e materialmente.
Il villaggio costruito da padre Bruno Hussar, che nella valle di Ayalon, a 30 chilometri da Gerusalemme e da Tel Aviv, celebre per quella frase di Giosuè “Sole fermati su Ghibaon”, continua a educare alla pace e alla convivenza mentre tutt’intorno fioccano polemiche e massacri. «Un eccezionale laboratorio nel quale generazioni di studenti hanno imparato un vocabolario comune e hanno condiviso interpretazioni se non univoche quanto meno compatibili con la storia dei loro popoli», scrive Paolo Naso, docente di scienza politica alla “Sapienza”, del Villaggio di padre Bruno. Un’esperienza che denuncia l’abuso politico della religione e dei libri sacri e rivela che “israeliani e palestinesi dispongono di minoranze attive che spesso sanno vedere più lontano delle loro classi dirigenti e sono disposte a rischiare del proprio per dare un volto e un corpo all’utopia della pace”. Di tutto ciò, a Catanzaro si è ragionato con gli alunni dell’Istituto comprensivo “Mattia Preti” e con l’intelligente partecipazione di alcuni studenti del Liceo Classico Galluppi, delle insegnanti e del dirigente Angelo Gagliardi: «La pace è possibile, costruiamola anche noi a partire dalla nostra comunità educante».  Piero Cerati Mariani, per l’associazione “Amici italiani di Neve Shalom” (scrittore emiliano: ha dato alle stampa il suo terzo romanzo “Non è come pensi” edito da Aliberti; appassionato di ebraismo e Bibbia e componente la redazione della rivista “QOL”), la cantastorie Francesca Prestia (questa volta però senza “canti e cunti”, né  la sua  chitarrina battente e la voce appassionata con cui sottolinea “la fierezza e il coraggio di molte donne e uomini calabresi), il prof. Massimo Iiritano (vicepresidente dell’associazione nazionale ‘Amica Sofia’, ha pubblicato con Rubbettino di recente “Gioacchino da Fiore. Attualità di un profeta sconfitto”), hanno apprezzato in particolare il metodo adottato da Bruno Hussar, che   scelse di avere al proprio fianco, nel tradurre il suo sogno in realtà,  «persone con i più diversi retroterra ideologici (politici e religiosi), evitando con ogni scrupolo gli aut-aut dottrinali, valorizzando le differenze culturali ma anche gli aspetti complementari delle rispettive tradizioni e cercando, soprattutto, di garantirsi che i suoi compagni fossero uomini e donne sinceramente impegnati a rispettarsi nella diversità e a tessere giorno dopo giorno, artigianalmente, la tela della pacifica convivenza».
Unica assente (in realtà non prevista perché fuori Calabria, ma è in programma la presentazione del libro “Il folle sogno/israeliani e palestinesi insieme sulla stessa terra” a cura di Brunetto Salvarani e promosso dall’Associazione amici di “Nevè Shalom Wahat al – Salam”  proprio nella sua città), l’unica rabbina donna in Italia (in Europa sono undici) che vive in Calabria (a Serrastretta), Barbara Aiello. 

*giornalista

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