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Ora Magorno si faccia da parte

Ha poco spazio e pochissimo tempo per gioire del suo collocamento in testa alla lista di candidati del Pd al Senato, Ernesto Magorno. Già deve pensare ai sondaggi che danno in grosse difficolta il …

Pubblicato il: 10/02/2018 – 11:55
Ora Magorno si faccia da parte

Ha poco spazio e pochissimo tempo per gioire del suo collocamento in testa alla lista di candidati del Pd al Senato, Ernesto Magorno. Già deve pensare ai sondaggi che danno in grosse difficolta il suo partito con le mai sopite tensioni interne, per via di veti incrociati e liti di bottega, attorno alle candidature, e poi la defezione di Demetrio Battaglia (un colpo basso anche sul piano personale, per Magorno) e la scelta di Marco Minniti di tenersi lontano da un collegio che appare complicato sul piano dell’agibilità elettorale e appesantito da una classe dirigente che si conferma quasi irredimibile. Insomma, roba da stendere un toro che abbia capacità di analisi politica.
Già, capacità di analisi politica. È proprio quello che manca ai dirigenti del Pd calabrese e, in particolare, a Ernesto Magorno. Ne avessero un briciolo, si farebbero da parte: hanno distrutto tutto quello che potevano distruggere, imposto clientele e favorito comparaggi, manomesso tesseramenti e truccato dibattiti. Tutto per conservare un potere sempre più effimero e sempre più inutile.
Coniglio Mannaro fino ad oggi ha avuto una giustificazione in questo suo operato. Si è ritrovato a vivere secondo la logica bertinottiana: meglio piccolo con me dentro. Bene, ma adesso che ha conquistato il posto sicuro garantendosi una seconda legislatura in Parlamento, faccia un gesto d’amore verso la Calabria e verso il Pd: si faccia da parte. Si dimetta aprendo la via a un commissario che dialoghi con quella larga fascia di elettori e simpatizzanti del Pd che hanno scelto di disertare urne e impegno politico perché di Magorno e di Oliverio non ne vuole più sentir parlare. Anzi, pone come condizione propedeutica a ogni ripresa dei contatti l’interruzione di un rapporto suicida che fino a oggi ha provocato la caduta verticale del Pd in Calabria, in uno con la fiducia nella Regione Calabria governata da questo monocolore Pd.
Si faccia da parte Magorno, anche in omaggio al calpestato Statuto del Pd che prevede la non candidabilità dei segretari regionali, proprio per impedire che gli interessi della persona prevalgano su quelli del partito. Ha solo da guadagnare lasciando sgombero il terreno. Fin qui, la sua presenza è stata utile unicamente a dare copertura politica a una giunta regionale inetta e inadeguata, diretta da un governatore che ha massacrato quanti non rispondevano a una ferrea logica di fedeltà al capo. Troppi i rospi ingoiati per far spazio alla esigenza di “tenere unito il partito”, un assunto che oggi non appare più in alcun modo giustificabile. Il partito rischia di non esserci più.
Eppure, ancora oggi, davanti a questo sfacelo e pur in presenza dell’ennesima disfatta annunciata, Magorno va ripetendo come una nenia antica: «Siamo alla vigilia di un appuntamento importante al quale intendiamo presentarci con franchezza e serietà ma per farlo dobbiamo essere uniti».
E per essere uniti invita a tornare con la testa bene infilata nella sabbia. Senza con questo scadere nel volgare, verrebbe da rispondergli come ha fatto Vauro: nella sua vignetta sull’argomento, evidenziava che la testa sta infilata nella sabbia, ma le chiappe restano scoperte. Insomma, non sarà certo Magorno capace di richiamare ai propri doveri Maio Oliverio, sempre più autoreferenziale e sempre più impegnato nella mistificazione della verità. A Magorno non pare faccia alcun effetto, ormai, il ritrovarsi a capo di un partito che da quando ha vinto le regionali, piazzando Mario Oliverio a governatore, non trova più sintonia con l’elettorato e incassa solo pesanti sconfitte sparendo dal governo dei maggiori enti locali, a cominciare dal capoluogo. Insomma, un partito guidato da un renziano della prima ora, salito al potere per condurre anche in Calabria il progetto di rottamare l’antico. Lo ha fatto, Magorno, ma, come insegnano le vicende di Marco Schirripa e di Angela Marcianò, in maniera esattamente opposta ai desiderata della gente. Hanno ucciso nella culla le nuove leve e fatto spazio a vecchie cariatidi con una vita interamente passata appollaiati sugli scranni istituzionali. Il massimo del rinnovamento non è andato oltre l’aver sostituito il marito con la moglie o il padre con la figlia…
E se qualche elemento di freschezza e di novità è arrivato, è frutto di scelte subite dal Pd calabrese e imposte dai vertici romani. Fosse stato per il partito calabrese, Schirripa non sarebbe mai entrato nella direzione centrale, la Marcianò non avrebbe mai fatto parte della segreteria nazionale e soprattutto, tanto per evitare ulteriori imposture, Antonio Viscomi non avrebbe mai guidato il listino proporzionale in Calabria.
Cari Magorno e sodali, adesso fate buon viso a cattivo gioco ma sappiamo tutti che è andata proprio così e appare ridicolo il tentativo della claque di Oliverio di mettere il cappello sulla candidatura di un vicepresidente che non ha mai voluto, mai rispettato, mai ascoltato e del quale non vedeva l’ora di disfarsi. O devo ricordare il mai da nessuno smentito Lorenzo Catizone che teneva lo champagne in frigo per stapparlo non appena Oliverio avesse defenestrato dalla giunta il buon Viscomi?
Non abusate oltre della tolleranza dei miti e imparate a temere l’ira dei buoni. Ci sono decine e decine di prove dell’isolamento che, scientificamente, “tutti gli uomini del presidente” hanno realizzato attorno a Viscomi per impedirgli di toccare palla. Da Apicella a Praticò, da Zito a Varone, per non dire del “capo dei capi” Gaetano Pignanelli, hanno operato quotidianamente sul doppio versante di isolare il vicepresidente finanche nascondendogli le carte e ridicolizzarne l’operato, richiamando all’ordine chiunque avesse istruito anche solo uno straccio di pratica su sua indicazione.
Fino all’umiliazione di dover partecipare alle riunioni della Conferenza delle Regioni senza essere munito di alcuna delega formale del presidente.
Oliverio non ci andava, non ci è mai andato. Viscomi si presentava su incarico orale, ricevuto magari appena poche ore prima della seduta. Chiunque poteva chiederne, in assenza di formale delega, l’allontanamento, non lo hanno mai fatto perché quello che a Viscomi veniva negato in patria era invece da tutti riconosciuto a Roma. Anche questo è capitato. E Magorno sapeva, come sapevano tutti gli altri, compresi i manovratori, i registi occulti, quelli che “contano” – eccome se contano – senza apparire.
E sapevano anche qual era la ragione di tanto astio, quali i motivi di un continuo logoramento teso a far mollare il campo a Viscomi e spingerlo alle dimissioni, ché cacciarlo fuori diversamente era assai complicato.
Magorno sapeva, era informato. Ma c’era una poltrona da salvare, una poltrona importante e delicata che meritava ogni sacrificio e che spingeva a coprire ogni porcheria con la formuletta solita: «Bisogna tenere unito il partito». Ma ha senso tenere unito un partito dove sono accampati troppi mascalzoni, costringendo a convivere con loro tante realtà pulite e competenti? Certo che ha senso, se la poltrona da salvare è la tua.
Adesso si chiede a Viscomi di tradire se stesso e il mandato implicito ricevuto da chi ne ha voluto la doppia candidatura; e siccome Viscomi non lo fa, ecco concentrarsi su Catanzaro tutti i sabotaggi elettorali di cui è capace l’attuale nomenklatura cosentina che guida il Pd: trasferimenti punitivi, finanziamenti riservati solo agli avversari, utilizzo della burocrazia regionale per colpire l’area legata al Pd ma non ai suoi dirigenti.
Altro che unità del partito, a Catanzaro e a Lamezia si picchia duro su chi supporta la candidatura di Viscomi. Il caso più emblematico è quello del presidente della Provincia Enzo Bruno, oggetto di un quotidiano massacro istituzionale ad opera del governatore in uno con il capogruppo regionale del Pd, mentre il segretario Magorno tace e fa finta di non capire e di non vedere. Certo, la candidatura di Viscomi, decisa da chi prepara un salutare repulisti nel Pd calabrese, è blindata, tuttavia una sua
eventuale affermazione anche nel collegio di Catanzaro che, prima di calare i nomi dei candidati, vedeva un vantaggio di 20 punti percentuali del centrodestra, sarebbe per i manovratori nostrani una definitiva debacle.
È tutta qui la lotta, con buona pace del partito e dei buoni sentimenti. È la lotta per la sopravvivenza che si combatte tra le macerie fumanti di una Cittadella regionale dove ormai si respira aria di fine impero.

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