REGGIO CALABRIA «L’accusa di intestazione fittizia di beni era ingiusta, sia per me che per i miei collaboratori. Abbiamo fatto sacrifici per oltre vent’anni per portare questa azienda a livello internazionale». Dopo la sentenza con cui il gup di Reggio Calabria, al termine del rito abbreviato, lo ha assolto con formula piena, l’ex vicepresidente del consiglio regionale Francesco D’Agostino, patron della “Stocco&Stocco”, commenta così la fine di «una parentesi orribile». La Dda, nell’ambito dell’inchiesta “Alchemia”, lo aveva accusato di essere una testa di legno dei clan di Cittanova, ma il giudice Olga Tarzia non ha condiviso l’impianto costruito dalla procura antimafia e ha ritenuto D’Agostino innocente. «La sentenza è arrivata adesso – prosegue il politico, eletto a Palazzo Campanella con la lista “Oliverio presidente” – ma la mia assoluzione l’aveva già decretata il gip quando ha detto che io non sono il prestanome di nessuno». Il riferimento è alla decisione del giudice per le indagini preliminari, che per D’Agostino aveva negato l’arresto chiesto dal pm Giulia Pantano al momento dell’esecuzione dell’ordinanza. Ma nel frattempo sono passati 18 mesi e l’amarezza rimane: «Ho affrontato questo periodo con molta tristezza, con grande rammarico, perché in ogni caso – spiega D’Agostino – ho subìto un’ingiustizia. Quando vai a finire sui giornali, sui media, con un’accusa così infamante, la gente ti guarda in un certo modo. Ma devo dire che ho avuto vicinanza da molti imprenditori calabresi, dalla gente per bene di questa regione, e da chiunque mi conosca».
Al di là del caso che lo ha visto coinvolto, però, D’Agostino suggerisce anche una riflessione di carattere più generale sull’imprenditoria in Calabria: «È ora di smetterla di dire che tutte le imprese sono mafiose. E non mi riferisco solo alla magistratura, parlo anche della gente comune. Perché quando vedono sorgere un’impresa molti dicono “ci dev’essere qualcosa di strano sotto”. Non è così. Una storia imprenditoriale – conclude – non la può cancellare nessuno con delle infamità».
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