REGGIO CALABRIA A sua insaputa era iscritto alla P2, non sa dire come mai subito dopo aver conosciuto Gelli sia stato eletto con il doppio dei voti, ricorda l’esatta disposizione degli ospiti ad una cena, ma ha totalmente resettato due telefonate con argomento Dell’Utri. Ex deputato della Democrazia Cristiana prima di essere espulso dal partito perché massone e piduista, Emo Danesi – 83 anni suonati e un invidiabile aplomb – non sembra per nulla turbato dalla convocazione come testimone al processo che vede imputato l’ex ministro Claudio Scajola, insieme alla moglie di Amedeo Matacena, Chiara Rizzo, e al factotum e alla segretaria dei due, Martino Politi e Maria Grazia Fiordelisi, tutti accusati a vario titolo di aver aiutato Matacena a sfuggire ad una condanna definitiva per concorso esterno e ad occultare il suo immenso patrimonio.
PRESENZA COSTANTE Impeccabile vestito grigio, entra con piglio sicuro nell’aula 12 del Cedir e si accomoda come se fosse nel salotto di casa sua. Da lui, il procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo e le difese vogliono una spiegazione – possibilmente plausibile – della sua presenza nel corso di una serie di incontri e cene, durante le quali – sospettano gli inquirenti – potrebbe essere stata discussa l’ipotesi di “trasferire” il latitante Matacena in Libano, dove avrebbe potuto godere persino di documenti e piena operatività. Questo era quanto assicurato da Vincenzo Speziali, omonimo nipote dell’ex senatore del Pdl, parente acquisito dell’ex presidente del Libano, Amin Gemayel, e aspirante parlamentare, che dopo una prolungata latitanza, ha patteggiato un anno di pena. Una vecchia conoscenza per Danesi, che tuttavia sembra tenerci non poco a ridimensionare i propri rapporti con lui. Passati e presenti.
«NON CHIAMARMI PIÙ» «Lo dico subito. Circa dieci giorni fa Speziali mi ha chiamato. Mi ha detto di essere a Forte dei marmi, dove si stava riposando. Mi ha detto “sai quella storia, si è chiuso tutto”. Io gli ho detto che per me no, che il 12 sarei stato convocato qui e di non chiamarmi più. Lo dico ora, perché non si dica che ci siamo messi d’accordo, eh» afferma quasi tutto d’un fiato. Anche in relazione al passato però sembra tenerci a prendere le distanze.
RAPPORTI DATATI «Speziali l’ho conosciuto diversi anni fa. Ero con un vecchio amico, l’avvocato Franco Procopio», legale romano con il pallino della politica, «era amministratore di un giornaletto finanziato dalla presidenza del consiglio dei ministri – spiega – in orbita Dc». Da allora, Speziali jr lo avrebbe contattato spesso in occasione delle sue visite romane e lo avrebbe anche invitato in Calabria, per accompagnare l’allora segretario Udc, Lorenzo Cesa, invitato per un paio di incontri elettorali. «È lì che ho conosciuto il padre di Speziali, Giuseppe, che poi ho incontrato a Roma. Lì mi ha detto delle ambizioni politiche del figlio, ma ha aggiunto “è un matto”».
I CONTATTI LIBANESI Non esattamente delle ottime referenze, che tuttavia non sembrano aver impedito a Danesi di contattare proprio Speziali jr quando si è trovato a gestire grandi affari in Libano, o almeno a tentare di metterli in piedi. «I libanesi volevano costruire questa autostrada e Speziali jr si vantava di avere entrature tali da poter mandare avanti il progetto». E sebbene poi l’affare sia sfumato, proprio grazie a Speziali – ricorda – è riuscito ad incontrare il presidente della Repubblica e del Consiglio, come anche «l’amico di famiglia» Robert Sursock, figlio di una potente dinastia egiziano-libanese che sulla finanza ha costruito un impero, per anni presidente di Gazprom bank, interessato con le aziende di famiglia in una serie di affari che tirano in ballo anche Stefano Ricucci e Sergio Billè, soggetto con cui Speziali jr era in rapporti.
CENE STRATEGICHE? Incontri e rapporti che l’imprenditore di origine catanzarese dovrà spiegare quando sarà chiamato a testimoniare, come – forse – sarà chiamato a chiarire che ruolo avesse in una misteriosa banca. «Non ricordo dove fosse – dice Danesi – sicuramente non a Roma, forse in alta Italia. Mi ha detto che era nel cda». Di certo, Speziali di incontri e contatti ne aveva. Ha incontrato, o meglio avrebbe dovuto incontrare Silvio Berlusconi insieme a Gemayel, il quale avrebbe dovuto – a suo dire – spendersi pechè il nipote acquisito «fosse nominato, e sottolineo nominato – dice Danesi – candidato». L’ex parlamentare Dc lo sa , perché – racconta – «quell’incontro poi è saltato e sono venuti a cena a casa mia». Argomento di discussione, «la politica in generale». E sempre di temi generali si sarebbe discusso quando Danesi è stato invitato a casa di Giuseppe Pizza, padre padrone del simbolo della Dci dopo una lunga battaglia legale e signore di uno dei “salotti” più frequentati e più influenti di Roma.
DA EPIFANI A GEMAYEL, PASSANDO PER LA INTRIERI Non a caso, quella sera a precipitarsi a tavola dopo una lunga, tesa e faticosa giornata è stato Guglielmo Epifani, proprio quel giorno eletto segretario del Pd. «Magari ci teneva a conoscere Gemayel» dice con noncuranza Danesi. Lui invece – afferma – sarebbe stato invitato «perché avevano piacere ad avermi fra gli ospiti» sebbene non fosse all’epoca e non sia oggi in grado di parlare francese, unica lingua franca a quella tavolata. Allo stesso modo, non sa dire come mai sia stato invitato da Speziali prima a pranzo con l’ex deputata Marilina Intrieri, quindi ad un incontro dei due con Claudio Scajola. «Ma io sono rimasto fuori» specifica.
MEMORIA A SINGHIOZZO Di quel pomeriggio ricorda ogni dettaglio, inclusa la disponibilità di voti da pescare tra cliniche e centri lombardi della Intrieri, come della serata a casa Pizza, Danesi rammenta persino, in modo quasi fotografico, la disposizione dei commensali a tavola. Tuttavia la medesima prodigiosa memoria non lo assiste né riguardo ai temi di conversazione, né quando il procuratore aggiunto Lombardo gli chiede conto delle due telefonate – intercettate e registrate – durante le quali lui e Speziali si sono intrattenuti a discutere della latitanza di Dell’Utri in Libano.
AFFILIATO A MIA INSAPUTA Altrettanto distratto deve essere stato Danesi all’epoca del suo incontro con Licio Gelli, gran tessitore delle trame italiane ed eminenza grigia della loggia eversiva P2, cui l’ex deputato Dc è risultato iscritto. Senza saperlo o rendersene conto, afferma. «Purtroppo per lei, l’affiliazione avveniva per tessere e la sua – gli ricorda il procuratore Lombardo – è la 1916». Ma Danesi insiste, se è stato affiliato lo è stato a sua insaputa. E magari a sua insaputa e senza che lui chiedesse nulla – dice – qualcuno ha lavorato per duplicare i suoi voti.
PARLAMENTARI DI BUONA VOLONTÀ Del tutto casuale e da lui non cercato, aggiunge poi, sarebbe stato l’incontro con Gelli, propiziato da «un certo Giuntiglia» che avrebbe contattato Danesi per conto di Gelli e fissato un appuntamento. Ma il Gran Maestro sarebbe arrivato tardi perché impegnato – gli avrebbe riferito “l’ambasciatore” di Gelli – «è con Andreotti». Solo dopo qualche ora ci sarebbe stato l’incontro fissato, durante il quale – a detta di Danesi – «Gelli mi disse: “Avremmo bisogno di giovani parlamentari che ci danno fiducia”. E io gli risposi “sono un giovane parlamentare, sono qui. Se avete bisogno di qualcosa, mi chiami. Fine”».
DANESI L’INGENUO Stando al suo racconto, il Gran Maestro si sarebbe appalesato nuovamente nel ’79, durante la campagna per le politiche, offrendo il proprio appoggio e i propri servigi. Ma neanche allora, quando Danesi era un pezzo da novanta della Democrazia cristiana, uomo di fiducia del ministro dell’allora ministro dell’Industria Bisaglia e con ampi margini di influenza su go
verno e imprese di Stato – afferma – sarebbe stato consapevole del potere di Gelli. Il quale – afferma l’ex deputato della Dci – si sarebbe spontaneamente offerto di dargli una mano, convocando una vera e propria riunione di pezzi grossi dell’Arma, della Marina e della Guardia di finanza e della magistratura, che si sarebbero poi tutti presentati all’appuntamento elettorale fissato.
A DISPOSIZIONE «Arrivo al ristorante e sembrava ci fosse una manifestazione. Dentro c’erano tutti signori in borghese. Uno si qualificò come capo di un ufficio della Marina. C’erano soggetti di vertice di varie istituzioni. Non si parlò mai di massoneria o di roba del genere. Mi dissero: “Noi siamo qui, ci dica dove dobbiamo mandare i nostri collaboratori a prendere i vostri santini”». Una disponibilità – ammette Danesi – che forse qualche beneficio gliel’ha portato. «Non so se per merito loro o per bravura mia, rispetto ai voti che avevo preso la prima volta che ero arrivato secondo, arrivai primo raddoppiando le preferenze». Però insiste, lui alla P2 non sarebbe mai stato consapevole di essere iscritto. Al massimo, qualcuno lo ha affiliato. A sua insaputa.
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it
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