REGGIO CALABRIA Quarantasei condanne e un’unica assoluzione. Sono pene severe quelle chieste dal procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo e dal pubblico ministero Walter Ignazzitto per gli imputati dell’inchiesta Sansone che abbiano optato per l’abbreviato. Al netto della diminuente di un terzo prevista dal rito sono stati chiesti 30 anni – il massimo della pena – per Bruno Antonio Tegano, uomo di vertice dell’omonimo clan e fra i registi dell’oppressione mafiosa su Villa San Giovanni, Vincenzo e Pasquale Bertuca, Alfio Liotta, Andrea Vazzana e Santo Buda. Vent’anni è invece la condanna invocata per Domenico Condello (cl.56) e Domenico Zito, mentre è di 18 anni carcere la pena chiesta per Felicia Bertuca, Domenico Condello (cl.72), Giovanni Malara, Vincenzo Sottilaro. Sedici anni sono stati chiesti per Alberto Scarfone, mentre è di 14 anni la pena chiesta per Rocco Scarfone. Per l’accusa Domenico Viglianisi essere condannato a 12 anni e 8 mesi più 8mila euro di multa, mentre è di 12 anni di carcere la pena chiesta per Angelo Benestare (più 8mila euro di multa), Domenico Bonforte (più 10mila euro di multa), Attilio Cotroneo (più 8mila euro di multa), Fortunato Laganà, Giacomo Latella, e Renato Marra (più 8mila euro di multa). Per Domenico Calabrese, Giuseppe Scappatura e Lorenzo Sottilotta l’accusa ha chiesto 11 anni di carcere, mentre è di 10 anni la condanna invocata per Antonino Sottilaro, Alessandro Idone, Roberto Megale e Antonio Riniti (più 6 mila euro di multa). E’ invece di 8 anni la pena chiesta per Pietro Bertuca (più 4mila euro di multa), Luciano Condello, e Maria Caterina Romeo. Sei anni e 4mila euro di multa sono stati chiesti per Francesco Sottilaro, mentre è di 5 anni e 14mila euro di multa la pena invocata per Antonino Idone. Quattro anni di carcere sono stati chiesti invece per Carmelo Araniti e Antonino Plutino, mentre è di 3 anni e 8 mesi la condanna chiesta per Michele Battaglia, Francesco Giustra, Giuseppe Marcianò, Sebastiano Megale, Andrea Palermo e Giuseppe Ripepi, mentre è di 3 anni la pena chiesta per Grazia Falcone, gli imprenditori Antonio e Giovanni Oliveri e Giuseppe Vemiglio. La pubblica accusa ha chiesto anche una condanna severa per il pentito Vincenzo Cristiano, da condannare a 5 anni e mille euro di multa.Unica assoluzione richiesta, quella di Roberto Morgante.
IL CORTILE DI ARCHI Fatta eccezione per quest’ultimo, secondo quanto emerso dall’inchiesta sono tutti a vario titolo responsabili dell’asfissiante, capillare, controllo da parte dei clan del tessuto economico e sociale di Villa San Giovanni. Città termometro degli equilibri fra cosche, terra di conflitti e cartina tornasole di pacificazioni, Villa per anni è stata lo storico cortile di casa degli arcoti, affidato agli Zito-Bertuca per i De Stefano e ai Buda Imerti per i Condello.
COABITAZIONE Costrette a coabitare nel medesimo territorio e a fare essenzialmente da spettatrici dei business di maggiore portata come la Perla dello Stretto, appannaggio dei clan di Archi che a Villa godevano anche di importanti entrature politiche, le ‘ndrine di Villa hanno battuto a tappeto la città, secondo il principio «non lasciare scampo a nessuno». Ecco perché, nella città divenuta porta da e per la Sicilia, pagavano tutti. Anche quegli imprenditori che altre inchieste hanno rivelato vicini o organici ad altri o al medesimo clan.
GESTIONE COMPLICATA A Villa le estorsioni erano a tappeto, ma la gestione del “business” è stata per lungo tempo complicata anche dal carattere del boss Pasquale Bertuca, da sempre convinto dell’egemonia della propria famiglia su Villa. Una posizione riconosciuta a tutto il suo clan fino al suo arresto, quindi insidiata dall’intraprendenza delle giovanissime leve del clan Condello e dei loro emissari, che più volte – e non senza frizioni – sono andati a “disturbare” imprenditori già preda degli Zito-Bertuca
IL PENTITO CRISTIANO Un risiko criminale ricostruito dall’inchiesta e confermato dalle dichiarazioni del pentito Vincenzo Cristiano, uomo del clan Bertuca – non per nascita, ma per scelta – che ai magistrati ha svelato affari e assetti dei clan. Per il clan lui ha «portato imbasciate», si è informato sugli imprenditori che iniziavano lavori e aprivano cantieri e prontamente lo ha comunicato al clan, ha propiziato “chiarimenti” tra uomini di peso degli Zito-Bertuca, come del gruppo Imerti Condello e imprenditori «ansiosi di mettersi a posto». È uno che sa e lo ha dimostrato da quando ha iniziato a parlare con la Dda, ricostruendo in dettaglio equilibri e gerarchie nel delicato contesto criminale villese.
LE RICHIESTE:
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it
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