ROMA A due settimane dal tragico incendio che ha distrutto la baraccopoli di San Ferdinando causando la morte di una giovane donna, la risposta delle istituzioni è ancora carente. Solo 174 dei circa 2mila lavoratori stranieri nell’area sono stati trasferiti, qualche giorno fa e in modo del tutto improvvisato, in una nuova tendopoli del ministero dell’Interno priva di servizi igienici, acqua, luce. In assenza di alternative, la maggior parte delle persone sono rimaste a vivere tra i resti della vecchia baraccopoli, dichiarata ad alto rischio per la salute a causa dell’elevata tossicità riscontrata. Lo denunciano Medu, Medici per i diritti umani e Amnesty International, in una nota in cui chiedono alle istituzioni che vengano garantite nell’immediato soluzioni di accoglienza sicure e dignitose. In particolare, le due organizzazioni denunciano che la tensostruttura della Protezione civile, approntata nelle ore immediatamente successive al rogo e in grado di ospitare solo 198 persone, e’ stata smantellata la mattina del giorno 8 febbraio e solo parte delle persone accolte sono state trasferite in modo del tutto improvvisato e sbrigativo presso una nuova tendopoli del ministero dell’Interno situata a poca distanza: 29 tende in grado di ospitare fino a 174 persone, senza servizi igienici, acqua ed elettricità, montate sulla terra nuda, in un’area che poche gocce possono trasformare in una palude. Eppure, secondo un rapporto dell’Arpacal, consegnato qualche giorno fa alla Prefettura di Reggio Calabria, occorre mettere in sicurezza quanto prima l’area su cui insiste la vecchia tendopoli e le persone che ci vivono visto l’alto grado di tossicità – dovuto alla combustione incontrollata di rifiuti eterogenei in grado di produrre diossine ed altre sostanze inquinanti dannose alla salute umana- che rende necessario e prioritario tutelare vite umane. Solo due giorni prima del nuovo trasferimento le associazioni attive nella piana di Gioia Tauro erano state convocate dal commissario straordinario di governo e dal sindaco di San Ferdinando – unici interlocutori istituzionali presenti – per essere informate sulle soluzioni individuate dalle istituzioni per far fronte nell’immediato alle sempre più critiche condizioni di vita dei lavoratori rimasti a vivere nei resti insalubri della vecchia baraccopoli. In quell’occasione Medici per i Diritti Umani, insieme alle altre associazioni presenti, aveva chiesto che la struttura in corso di allestimento fosse predisposta in modo tale da garantire condizioni di vita dignitose e adeguate, tra cui servizi igienico-sanitari in numero proporzionale alle persone accolte, adeguato allestimento e riscaldamento delle unità abitative, presenza di operatori professionali con formazione specifica, servizi di assistenza ed orientamento sociale e legale, mediazione linguistica e culturale, adeguata informativa rispetto ai diritti dei lavoratori agricoli. Niente di tutto questo è stato realizzato. Le iniziative poste in atto fino a ora sembrano piuttosto essere l’ennesima improvvisata soluzione d’emergenza, che non risponde alla necessità di garantire, nemmeno in maniera provvisoria, una capienza adeguata ad accogliere tutti i lavoratori attualmente presenti e di tutelare la sicurezza di tutti coloro che vivono nella zona industriale di San Ferdinando. Con i pochi posti a disposizione, è stato infatti possibile dare un letto soltanto a chi dormiva nella tensostruttura della protezione civile (e probabilmente nemmeno a tutti, nonostante la struttura sia stata rimossa), lasciando gli abitanti della vecchia tendopoli a dormire ancora su strati di plastica e gomma bruciata. Inoltre, vista la prossimità all’area da bonificare, mancano garanzie – non fornite al momento – sul fatto che la tossicità del luogo non mantenga i suoi effetti nocivi anche a poche decine di metri di distanza. Alla luce dei concreti rischi in termini di salute e sicurezza, evidenziati a più riprese dalle istituzioni, Medu e Amnesty International Italia chiedono con forza che venga garantita nell’immediato a tutte le persone presenti nell’area una soluzione di accoglienza dignitosa e con standard igienico-sanitari e di sicurezza adeguati, in grado di tutelare in primo luogo la salute e i diritti fondamentali di ogni persona. In relazione alla soluzione di medio termine delineata dalle istituzioni – un campo container attrezzato nel contiguo territorio del comune di Gioia Tauro, nella cosiddetta area “ex opera Sila” – Medu e Amnesty International Italia chiedono che vengano rapidamente fornite informazioni certe sulle tempistiche, il numero di posti disponibili, le risorse a disposizione e le condizioni generali di accoglienza. Inoltre, in attesa di conferma della possibilità di utilizzo del sito identificato da parte del comune interessato, chiedono garanzie rispetto ai possibili rischi per la salute derivanti dalla presenza di un inceneritore nell’area. Resta infine il timore che l’isolamento, l’assenza di un sistema di trasporti pubblici adeguato, la mancanza di un reale impegno nella prospettiva dell’inclusione sociale, possano determinare il sorgere di un ennesimo luogo di esclusione, marginalità e sfruttamento con inevitabili conseguenze anche in termini di conflittualità sociale. Per quanto riguarda le soluzioni di medio-lungo termine, le due organizzazioni chiedono un impegno concreto per realizzare l’obiettivo da tempo auspicato da tutte le istituzioni, quello cioè dell’accoglienza diffusa, che ad oggi resta solo uno slogan privo di contenuto. A tale proposito, Medu e Amnesty International Italia chiedono che vengano indicate le modalità, le tempistiche, gli attori istituzionali preposti e i finanziamenti disponibili. Tale soluzione non può ricadere naturalmente solo nell’ambito territoriale dei comuni di San Ferdinando e di Rosarno ma si deve estendere a tutti i comuni della piana di Gioia Tauro attraverso il coordinamento delle istituzioni coinvolte, in primis la Regione Calabria. Desta grave preoccupazione che la Regione, già investita del compito di promuovere «politiche di promozione e sostegno abitativo in favore dei lavoratori agricoli stagionali e iniziative volte a incentivare la loro integrazione nella piana di Gioia Tauro», sia oggi del tutto assente.
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