REGGIO CALABRIA Centri di accoglienza che esistevano solo sulla carta delle convenzioni, società bancomat, spericolate manovre finanziarie che servivano solo per depredare ditte e lasciare insoddisfatti fornitori e creditori. Era un vero e proprio sistema basato sulla truffa quello messo in piedi da Giuseppe Sera e Caterina Spanò, reali proprietari di una serie di ditte, formalmente intestate a terzi, negli anni svuotate, portate al fallimento, variamente nascoste sotto altre denominazioni.
IL SEQUESTRO Lo ha scoperto la Guardia di Finanza, che per ordine della del vicario Gaetano Paci, del procuratore aggiunto Gerardo Dominijanni e dei pm Baraldo e Stefano Musolino che coordinano l’indagine, questa mattina ha sequestrato in via preventiva e d’urgenza beni per oltre un milione e mezzo di euro, di cui 1,1 direttamente legati alla complessa e articolata maxi-truffa e i restanti 443mila euro finiti sotto sigilli per equivalente. Sotto sequestro sono finiti quote sociali e l’intero patrimonio aziendale di due ditte, la “Ma.Co. Costruzioni Srl” e la “Cooperativa sociale Le Rasole” e due immobili, più beni di proprietà di quattro indagati coinvolti nelle operazioni finanziarie finite sotto inchiesta.
L’INCHIESTA Quale che fosse il settore di attività, le ditte – tutte a vario titolo riconducibili o collegate a Sera e Spanò – operavano in modo fraudolento. Dalla ristorazione alla gestione dei centri per migranti nel cosentino, dalla manutenzione all’impiantistica, le società – emerge dal provvedimento eseguito oggi – servivano solo come bancomat e per torbide operazioni immobiliari. Al centro del sistema, due ditte, “I Picari S.r.l.” e la “Termoidea S.r.l.”, di fatto fallite (e che per questo sotto inchiesta hanno fatto finire 12 persone) ma che avrebbero trovato nuova vita e forma in una terza società, riconducibile a Sera e Spanò, usata per una serie di operazioni societarie e immobiliari fraudolente, basate su appropriazione indebita, truffa aggravata, riciclaggio, emissione ed utilizzo di fatture per operazioni inesistenti.
BANCOMAT Secondo quanto emerso dall’indagine, la “Termoidea S.r.l.” e “I Picari S.r.l.”, come pure la “General Service S.r.l.” e la “S&T S.r.l.”, a loro direttamente collegate sono servite per lungo tempo come cassa da cui gli indagati – sette, per questa tranche d’indagine – attingevano per spese personali e che nulla avevano a che fare con l’attività delle ditte e che hanno lasciato un buco di oltre 150mila euro.
CASE FANTASMA Nell’interlocuzione fra le diverse società poi, gli immobili apparivano e sparivano come per miracolo o cambiavano proprietario, ma solo sulla carta. È quello che è successo quando la fallita Termoidea, o meglio Sera che ne era il reale proprietario, ha acquistato un immobile da altra società, pagandolo – in teoria – in parte in contanti e in mediante compensazione di un credito di 120mila euro vantato nei confronti del venditore. Operazioni che in realtà sono esistite solo sulla carta e come unico scopo hanno avuto quello di modificare l’effettiva titolarità dell’immobile.
GRANDI SVENDITE Quando le società erano già ampiamente in dissesto, i reali titolari hanno iniziato a simulare la vendita di tutti i beni ad esse riconducibili, incluso un immobile intestato a Sera. Operazioni tarocche, cui si sono prestati amici e conoscenti degli indagati, tutti strettamente relazionati fra loro, e – ovviamente – senza versare neanche un euro per il bene acquistato.
AFFITTO DEI RAMI D’AZIENDA Quello che non si poteva vendere invece è stato fittiziamente ceduto. La Termoidea ha formalmente affittato un ramo d’azienda alla “General Service S.r.l.” e le ha ceduto un credito pari a 220mila 750 euro mai restituito. Un’operazione – sostengono gli inquirenti – mirata solo «depredare la fallita degli strumenti necessari per il prosieguo delle attività e, di fatto, procedendo alla progressiva sostituzione commerciale della prima in favore della seconda». Lo stesso ha fatto la società “I Picari S.r.l.” con un’altra ditta, di fatto usata solo come formale schermo per proseguire con l’attività. Non a caso “i Picari s.r.l” ha continuato ad accollarsi i costi di materie prime e utenze, mentre la società locataria incassava i guadagni. Un modo per tenere la cassa lontana dai creditori grazie ad una serie di società palesemente di carta e costituite allo scopo, il cui personale continuava ad essere retribuito dalla fallita “I Picari S.r.l.”
LA CASSA Si tratta di un sistema complesso, ma costruito con un unico scopo: permettere alle società fallite e ai loro reali titolari di continuare a incassare i proventi derivanti dalle attività, pari a circa 425mila euro, finiti in pancia alle società costituite allo scopo o usati per operazioni immobiliari. Danari in gran parte relativi all’attività di un centro d’accoglienza migranti, dunque sovvenzionato dallo Stato.
LA DOPPIA TRUFFA DEL CENTRO D’ACCOGLIENZA A gestirlo era la cooperativa “Le Rasole”, rappresentata da Daniela Ferrari, che nel 2013 per un anno ha gestito un centro di accoglienza per migranti e richiedenti asilo a Rogliano, nel cosentino. Formalmente – stando alle convenzioni stipulate con Protezione civile e ministero dell’Interno – la coop avrebbe dovuto mettere a disposizione due alberghi in cui ospitare 300 profughi, uno a Rogliano e uno a Sant’Eufemia d’Aspromonte, nel reggino. In realtà, la struttura disponibile è sempre stata solo quella di Rogliano, con una capienza massima di 155 persone, ma la coop ha comunque regolarmente percepito i 209mila 930 euro euro previsti dalla convenzione.
LA MACCHINA DELLE FALSE FATTURE Ma il business del centro di accoglienza serviva anche per produrre false fatture. Formalmente nelle due strutture alberghiere sarebbero stati fatti lavori di ristrutturazione e manutenzione, affidati alla General Service, riconducibile al sistema Sera. In realtà però quei lavori non sono mai realizzati, sebbene siano stati sempre regolarmente fatturati per la modica cifra di 399milla euro. In più, sarebbero stati eseguiti degli accrediti “diretti/indiretti” sui conti correnti personali, prelevamenti di denaro contante e ricariche di carte di credito (in tal caso attingendo come provvista al conto della “S&T.”) per importi superiori ai 150 mila euro.
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it
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