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Effetto matrioska della politica nostrana

L’effetto matrioska è quello che si rileva scrutando l’attuale panorama della politica italiana messo in relazione con ciò che erano i partiti. Quegli strumenti di democrazia cui la Costituzione (a…

Pubblicato il: 19/02/2018 – 9:49
Effetto matrioska della politica nostrana

L’effetto matrioska è quello che si rileva scrutando l’attuale panorama della politica italiana messo in relazione con ciò che erano i partiti. Quegli strumenti di democrazia cui la Costituzione (art. 49) riconosce la capacità di concorrere alla determinazione della politica nazionale.
Cosa vuol dire l’effetto matrioska, cui si è fatto riferimento? Riguarda l’uso che di essa si fa da sempre nella grande Russia (ma anche altrove) per riproporre la sua storia politico-istituzionale partendo da Lenin per finire a Putin, in una logica che mette insieme, a prescindere dai rispettivi meriti o demeriti, i colossi del passato con i potenti di oggi.
In via generica, la matrioska rappresenta, in uno spazio molto ridotto, la vita delle persone, la narrazione delle fasi storiche e delle esperienze collegate tra loro e cosi via. Il tutto, a seconda di ciò che significano nel loro rispettivo insieme di strutture, solitamente lignee, inseribili progressivamente in un formato di maggiore dimensione. La più grande, quella immediatamente visibile, è chiamata “madre”; quella più piccola “seme”. Il tutto da inquadrarsi nel concetto di «principio e fine».
Proprio in relazione ad un siffatto principio, collegato alla formula alfa/omega della politica italiana, la lettura delle odierne rappresentanze democratiche, cui va affidato il compito di governare il Paese, lascia sgomento chi è stato abituato ai riferimenti autorevoli di ieri. Non solo. Mette in evidenza la pochezza dei metodi di ricambio e dei percorsi di oggi, incapaci di generare l’evoluzione delle organizzazioni rappresentative (dei partiti) pena la loro obsolescenza, con conseguente caduta di credito della politica, divenuta oramai dinastica.
In una tale ottica diventa davvero difficile condividere l’evoluzione, senza cambiamento alcuno, della rappresentanza politica del nostro Paese, ove risulta, con drammatica evidenza, l’involuzione della qualità delle leadership, dei progetti che si propongono e, dunque, dell’etica dei leader.
La nostra matrioska – che cambia nelle rappresentazioni a seconda della storia personale che contraddistingue ciascuno di noi – presenterebbe delle «madri» di tutto rispetto e dei «semi» da inorridire chi mantiene un minimo di dignità ideologica o quantomeno una buona idea della morale nella gestione della cosa pubblica. Conseguentemente, sono in tanti a sentirsi, dopo avere esercitato un minimo di politica nei grandi partiti del passato, a proprio agio nelle rappresentanze di oggi, tanto da sentirsi – così come mi sento io riguardo al vecchio Pci – quasi una «rimanenza di magazzino» di chiusura esercizio. In quanto tale soggetto estraneo alla proposta politica fondata esclusivamente sui progetti-programmi cosiddetti esca. E ancora. Riluttante nei confronti di una competizione politica che vola così basso da ritenere assi nella manica lo scoop qualunquista, da fare ricorso a difese degli indifendibili, da farsi rappresentare, specie nelle regioni periferiche, ove vi è maggiore bisogno di rappresentanze qualificate, da candidati prevalentemente senza cultura, con curriculum vitae altrove non esibibili e con storie personali più maculate di quanto lo sia la pelliccia di un leopardo.
Ecco come il «seme» rinnega le grandi «madri»! Quelle che furono in un più recente passato nazionale, senza escludere alcuno: i Berlinguer, i Moro, i Craxi, i La Malfa, gli Almirante, i Malagodi. Vicino ai quali assumevano titolo di omologa rappresentanza i Giacomo Mancini, i Riccardo Misasi, i Cecchino Principe, i Ciccio Martorelli.
Insomma, a prevalere sulla «madri» giganti sono gli odierni «semi», tristemente esempi della nanopolitica, di quella che privilegia l’affare trasversale, insegue la ricchezza, ripudia la cultura e genera mostruose clientele, senza occuparsi degli interessi collettivi.
Meno male che all’orizzonte c’è «il Riccardo» a farci compagnia, per dirla alla Gaber. Un nome proprio di persona, preso a caso, da tradurre in concreta speranza. Quella che ciascuno di noi avrà modo di rintracciare tra le liste scegliendo quei pochi cui destinare il proprio consapevole consenso.

*docente Unical

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