REGGIO CALABRIA Una fotografia dell’imprenditoria di ‘ndrangheta e di quella che con i clan si accorda, si mischia e fa affari, senza preoccuparsi troppo della provenienza del denaro usato e del “curriculum” dei soci. È questa lo scenario che emerge dalle indagini “Vello d’Oro” e “Martingala” delle Dda di Firenze e Reggio Calabria che questa mattina hanno portato all’arresto di 14 persone, 11 in carcere e 3 ai domiciliari, chiesto e ottenuto dall’ufficio fiorentino diretto da Giuseppe Creazzo, e all’esecuzione di un fermo disposto dalla Dda di Reggio Calabria per 27 persone, quattro delle quali già raggiunte dal provvedimento emesso dal Tribunale di Firenze.
LE ACCUSE Per gli arrestati fiorentini, le accuse sono a vario titolo di associazione per delinquere, estorsione, sequestro di persona, usura, riciclaggio e autoriciclaggio, attività finanziaria abusiva, trasferimento fraudolento di valori, aggravati dal metodo mafioso. Ai fermati calabresi invece i magistrati muovono a vario titolo le contestazioni di associazione mafiosa, riciclaggio, autoriciclaggio, reimpiego di denaro, beni e utilità di provenienza illecita, usura, esercizio abusivo dell’attività finanziaria, trasferimento fraudolento di valori, frode fiscale, associazione a delinquere finalizzata all’emissione di false fatturazioni e reati fallimentari.
I SEQUESTRI Sotto sequestro inoltre sono finiti beni per oltre 100 milioni di euro, più una sessantina di imprese sparse fra Calabria, Toscana e altre regioni del centro-nord, ma con sedi e controllate anche in Gran Bretagna, Slovenia e altri paesi dell’area balcanica e dell’Est Europa.
CAFIERO DE RAHO: «C’ERA UN SISTEMA» «Si tratta di un’operazione estremamente importante – dice il procuratore nazionale antimafia, Federico Cafiero de Raho, che ha seguito da vicino lo sviluppo delle due indagini – Quello che emerge è un complesso sistema di società cartiere, costituite all’estero, che grazie a false fatturazioni permettevano di reimmettere in circolazione denaro di provenienza illecita, usato poi per nuovi investimenti». Dalle indagini è emersa una rete di aziende impegnate nei settori più diversi – dalla grande distribuzione all’acciaio, dalle costruzioni agli appalti pubblici – tutte considerate di diretta espressione dei clan dei tre “mandamenti” della ‘ndrangheta del reggino, i Nirta-Strangio per la zona jonica, gli Araniti per Reggio città, i Piromalli per la fascia tirrenica. Aziende di ‘ndrangheta in tutto e per tutto, che non hanno incontrato ostacoli nel relazionarsi con imprenditori del centro e nord Italia, come nel ripulire il denaro tramite cartiere sparse tra l’area balcanica, l’Est Europa e la Gran Bretagna.
I FILONI DI INDAGINE Due, spiega il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, i filoni di indagine sviluppati rispettivamente dalla Dia e dalla Guardia di Finanza. Dalle attività sviluppate dalla Dia all’epoca diretta dall’ex capocentro di Reggio Calabria, Gaetano Scillia, prima di andare in pensione, e coordinate dal procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo è emerso – dice Cafiero de Raho – «un complesso sistema di società cartiere dislocate all’estero che permettevano di ripulire il denaro, costruito dall’imprenditore calabrese Antonino Scimone». L’altro filone, sviluppato dalla Guardia di Finanza, ha invece ulteriormente sviluppato l’indagine “Cumbertazione”, che già in passato aveva fatto emergere l’ombra dei clan su lavori e appalti pubblici nell’area della Piana di Gioia Tauro. «Soprattutto grazie al meccanismo del “nolo a freddo” i clan si inserivano in appalti e lavori importanti» sottolinea il procuratore nazionale, rimandando per maggiori dettagli alla conferenza stampa convocata per le 11 al Palazzo di giustizia di Firenze a cui parteciperà insieme al procuratore capo di Firenze, Giuseppe Creazzo, al procuratore vicario Gaetano Paci, che proprio da Cafiero de Raho ha ereditato la guida di Reggio Calabria e al procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo.
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it
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