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Un pezzo di Pd rema contro il Pd

Come era fin troppo facile prevedere, gli appelli della segreteria regionale del Pd alla compattezza, almeno in presenza di una campagna elettorale così complessa e delicata, hanno avuto la stessa …

Pubblicato il: 19/02/2018 – 13:32
Un pezzo di Pd rema contro il Pd

Come era fin troppo facile prevedere, gli appelli della segreteria regionale del Pd alla compattezza, almeno in presenza di una campagna elettorale così complessa e delicata, hanno avuto la stessa sorte degli accorati appelli del Papa ai rapitori di Aldo Moro perché rilasciassero l’ostaggio.
Con la differenza che almeno il Papa contava su una autorevolezza che anche i criminali riconoscevano, mentre la segreteria del Pd calabrese è capace solo di galleggiare tra intrighi di palazzo e beghe tra comari.
Probabilmente, un gesto nobile di Ernesto Magorno avrebbe aiutato la ripartenza, le sue dimissioni quantomeno avrebbero eliminato un alibi a quanti si vanno disimpegnando e, per contro, avrebbero lasciato spazio a qualche figura più autorevole e soprattutto disinteressata. Avrà avuto le sue buone ragioni, Magorno, ma gli restano pochi giorni per dimostrarlo. Allo stato, invece, i segnali sono quelli di una gestione anarchica della linea politica, accompagnata dal consumarsi di piccoli calcoli personali.

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Gli ultimi esempi arrivano da Catanzaro e da Vibo Valentia. A Catanzaro un signore che dal Pd ha avuto di tutto e di più, Enzo Ciconte, passa in rassegna ospedali e strutture sanitarie per invitare a non votare l’usurpatore Viscomi. Usurpatore perché quella candidatura, secondo Ciconte, gli spettava di diritto, avendo lui uno strano concetto della democrazia che si traduce nella massima del marchese del Grillo: «Io so io e voi non siete un…». Ha voluto la ricandidatura alla Regione, accontentato. Poi ha preteso un posto in giunta, accontentato. Ha dovuto lasciare la giunta per via di “Rimborsopoli”, ma ha voluto la candidatura a sindaco di Catanzaro, accontentato. Ha straperso e ha voluto un premio: vicepresidente del consiglio regionale, accontentato. Oggi non lo accontentano con la candidatura nelle politiche ed ecco che scatta l’ira funesta. Guai a votare per il Pd, cioè per il partito che gli mantiene la poltrona di vicepresidente dell’assemblea regionale, va ripetendo in questi giorni il buon Ciconte, con un impegno e una costanza degna di una vera e propria campagna elettorale.
A Vibo capita anche di peggio, e qui la cosa riguarda da vicino le figure apicali del Pd calabrese, perché il candidato dell’uninominale del Partito democratico invita a votare al proporzionale per la lista della Bonino oppure per quella della ministra Lorenzin. È un fine stratega, Brunello Censore, ritiene che in politica la coerenza sia un optional. Probabilmente, ha anche ragione, visto che in Calabria il suo approccio con il ruolo istituzionale è premiante. Circola un filmato sul web relativo al suo intervento in un incontro elettorale. Si definisce un «operaio della politica» e sostiene che non bisogna perdere tempo a Roma «con i grandi numeri». Spiega: «Io non sono in grado di fare discorsi politici, li lascio fare agli altri più bravi di me. A me piace stare con la gente, se ci sarà la fiducia sulla mia persona; io mi definisco così, un operaio della politica, a mia mi piaci mu staiu cu la genti. U mi chiamanu deci voti a lu jorno, u ‘ndi vidimu allu bar. Perché sono fatto così mi piace così, è una scelta di vita, mi piace vedere la gente che viene per qualsiasi cosa, che viene magari per un consiglio, chi viene perché ha una pratica ferma alla regione, la politica è questo, la politica non è i grandi numeri, la politica è anche servire la gente, anche servire una impresa che ha un diritto che gli viene negato dalla burocrazia».
Un programma elettorale impareggiabile.
Sono solo due scampoli di vita calabrese ai tempi del Pd. E Magorno che fa? Rubiamo le parole a De Andrè: «Si costerna, s’indigna, s’impegna, poi getta la spugna con gran dignità».

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