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JONNY | Riesame bis per De Furia, accolto il ricorso della Dda

Riesame bis per Salvatore De Furia, imprenditore finito nella maglie della maxi inchiesta Jonny coordinata dalla Dda di Catanzaro contro gli affari illeciti delle cosche di Isola Capo Rizzuto. Lo h…

Pubblicato il: 22/02/2018 – 19:25
JONNY | Riesame bis per De Furia, accolto il ricorso della Dda

Riesame bis per Salvatore De Furia, imprenditore finito nella maglie della maxi inchiesta Jonny coordinata dalla Dda di Catanzaro contro gli affari illeciti delle cosche di Isola Capo Rizzuto. Lo ha deciso la Cassazione che, accogliendo il ricorso vergato dal procuratore capo Nicola Gratteri, dall’aggiunto Vincenzo Luberto e dal sostituto procuratore Domenico Guarascio, ha annullato l’ordinanza di scarcerazione disposta da Tdl di Catanzaro rimandando a una nuova udienza davanti al Tribunale della libertà, la cui data non è stata ancora fissata.

L’INCHIESTA E LA POSIZIONE DI DE FURIA Al centro dell’inchiesta Jonny vi è lo scandalo del Cara di Isola Capo Rizzuto e l’accoglienza ai migranti, controllata, secondo l’accusa, dalle cosche crotonesi, in particolare Arena e Nicoscia. De Furia, accusato di associazione per delinquere di stampo mafioso, viene considerato dagli inquirenti tra gli imprenditori di riferimento della cosca Arena che, «per il tramite della carica di intimidazione della consorteria, hanno aumentato il proprio portafoglio clienti e che si prestano a vendere, secondo le indicazioni dei plenipotenziari della consorteria, fatturazioni per operazioni inesistenti». Il 15 maggio 2017 è stato tratto in stato di fermo, poi convalidato dal gip distrettuale, insieme ad altre 67 persone. Intorno alla figura dell’indagato gravita il nome di Antonio Poerio, classe 71, tra gli organizzatori della consorteria impegnato nella gestione dei subappalti conferiti dalla Misericordia di Isola Capo Rizzuto e relativi all’erogazione del servizio mensa per il centro di accoglienza (Cara) di Sant’Anna, subappalti grazie ai quali venivano distratti cospicui capitali destinati all’accoglienza che finivano, in parte, nella bacinella, la cassa comune, della consorteria criminale, in parte venivano usati «per interessi egoistici e diversi dalla loro destinazione pubblica». Il tutto all’ombra di società come la Quadrifoglio Snc che aveva avuto il subappalto del servizio mensa. L’otto gennaio 2016 De Furia e Poerio si incontrano negli uffici della Quadrifoglio e parlano di come liquidare cambiali che Poerio aveva ricevuto in pagamento, da Misericordia, per il servizio mensa erogato al centro di accoglienza di Isola di capo Rizzuto ed a quello di Lampedusa. Salvatore De Furia era nelle condizioni di liquidare le cambiali: proponeva di emettere Foi relative a forniture di contenitori di plastica che, ovviamente, non avrebbe mai consegnato a Quadrifoglio. Le Foi sarebbero valse a “giustificare” la ricezione delle cambiali tratte sul conto di Misericordia che poi potevano essere portate in banca e scontate. De Furia pronosticava di poter liquidare l’ottanta per cento delle cambiali ricevute in pagamento delle Foi, entro dieci giorni. Soltanto quando la banca avrebbe corrisposto il restante 20%, De Furia avrebbe acquisito il proprio compenso, pari al 10% dell’importo della Foi.

LE DICHIARAZIONI DEL COLLABORATORE Secondo il collaboratore di giustizia Santo Mirarchi, che dichiara di avere conosciuto De Furia nel 2015, l’indagato sarebbe imprenditore a disposizione degli Arena, cui avrebbe corrisposto somme di danaro a Natale, Pasqua e ad agosto. Lo stesso Mirarchi rivelava il proposito di Paolo Lentini – detto “pistola”, elemento di spicco della cosca Arena – di aumentare il portafoglio clienti, di De Furia, brigando perché si aggiudicasse gli appalti per le forniture delle mense ospedaliere in Catanzaro.

IL RICORSO Ad essere messe in dubbio dal Tribunale del Riesame sono proprio le dichiarazioni di Mirachi. «A voler dar credito alle dichiarazioni del Mirarchi – scrivono i giudici – rimarrebbe oscuro il motivo per il quale De Furia, assoggettato ad estorsione dagli Arena, si sia astenuto dal riferire ad Antonio Poerio del versamento di denaro alla cosca». Ma secondo la Dda non c’è nulla di oscuro: l’indagato, proprio per la sua condizione di subalternità agli esponenti apicali del sodalizio fa sì che «voglia circoscrivere il suo rapporto alla collaborazione utilitaristica tra le parti. Non è certo un rapporto confessorio che si instaura fra i due (De Furia e Poerio, ndr) ma un rapporto associativo teso alla realizzazione di un utile illegale per la cosca ed anche per il De Furia».
Sempre riguardo al rapporto tra De Furia e Poerio, secondo i magistrati le parole di Mirarchi sono importanti perché, come detto dal collaboratore, «l’imprenditore è “a disposizione” della cosca, è dedito all’emissione e allo sconto di falsi titoli di credito», in più nell’incontro con Poerio mostra di far capire di conoscere gli ambienti malavitosi perché intrattiene rapporti finanziari con gli stessi. E, in più, mostra di sapere che si sta rapportando con un esponente apicale del sodalizio tanto da mostrargli un certo rispetto: «No, io sono venuto da te perché ho voluto parlare con te Antò… io lo so che sei una persona molto importante… i soldi io te li porto, io come ce li ho sul conto, ti chiamo». L’indagato, secondo l’accusa, mostra inoltre di conoscere la pluralità degli accoscati di Isola Capo Rizzuto per avere già fatto affari illeciti con loro: «Con tutti quegli sconti cambiali che abbiamo fatto dentro Isola no?».

 

Alessia Truzzolillo
a.truzzolillo@corrierecal.it

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