Dalle urne una severa lezione al modo di esercitare la politica più attuale. Al modo di essere ceto dirigente e, soprattutto, al modo di essere pubblica amministrazione. Prescindendo dai grandi temi, trattati malissimo nel Paese sempre più diviso tra chi gode dei diritti di cittadinanza e chi non sa neppure cosa siano, i cittadini hanno detto un “No” secco, soprattutto al Sud, alle politiche territoriali e al solito morente esercizio delle corrispondenti funzioni pubbliche.
LE CONCAUSE DELLA SCONFITTA Di conseguenza, una valutazione che non dovrà essere affatto disattesa è quella di capire quanto abbiano contato sul risultato elettorale le performance che il centrosinistra ha realizzato nel Mezzogiorno. Il segmento del Paese, sempre di più emarginato, ove il Pd renziano (lato sensu) ha gestito e gestisce tutte le Regioni e amministra(va) tantissimi Comuni importanti, molti dei quali ingenuamente persi a seguito delle elezioni che si sono avvicendate dal post referendum costituzionale del 2016.
Il Meridione è apparso il sito geo-demografico meno curato nella selezione delle rappresentanze e trattato come hanno fatto tutti, dai tempi della peggiore democrazia cristiana: annunciando in prossimità delle elezioni investimenti da nababbi, salvo poi fargli fare la stessa fine che ha fatto (giustamente) il ponte dello Stretto, con al seguito penali di centinaia di milioni. Vecchie logiche attrattive che – alla luce delle esperienze vissute dal sud deluso, in preda allo sconforto della disoccupazione e costretto tutti i giorni alla povertà dei figli che partono – hanno il sapore della presa in giro a sistema così come le promesse di occupazione somministrate a quel popolo ritenuto, a torto, stolto e pronto al tradizionale abbocco.
Hanno, dunque, vinto gli attori della protesta sistemica, sotto tanti aspetti ben centrata negli argomenti, e chi ha evidenziato l’eccessiva occupazione senza oneri degli immigrati “con i cellulari sempre in mano”, che attraggono risorse milionarie senza scambio sociale. A tutto questo hanno contribuito la paura diffusa dell’abbandono dei cittadini residenti nelle periferie, le preoccupazioni per l’incolumità fisica sottolineata dalle violenze che si registrano quotidianamente, la diffusa povertà che sta aggredendo anche il ceto medio e l’assoluta assenza di lavoro, specie nel Mezzogiorno.
I DANNI AL CENTROSINISTRA La conta dei danni registrati in Calabria appare il saldo di un bollettino di guerra. Solo tre parlamentari del Pd sopravvissuti e un altro di Leu tirato per i capelli (si fa per dire!) nella conta di chi è andato peggio degli altri. Il tutto a fronte di una politica che ha avuto in mano tutto il territorio e che lo ha perso progressivamente nelle elezioni locali che si sono susseguite in ambiti comunali importantissimi, certamente presagenti di quanto accaduto oggi. L’insensibilità a comprendere la debacle annunciata ma soprattutto la capacità di cambiare repentinamente il senso di marcia hanno causato il peggiore risultato di sempre.
L’AGIRE IMMEDIATO Soffermarsi su cosa è successo e sul perché serve poco, specie se non si è disposti a dare torto a se stessi e ragione (da vendere) agli altri. Serve a nulla se, a valle, non si ha la volontà di comprendere il da farsi.
In Calabria necessita l’intervento di una sorta di «protezione civile» della politica. Che agisca secondo i protocolli dell’urgenza e dell’indifferibilità delle problematiche irrisolte, concretizzando – in relazione alle disponibilità della finanza pubblica di periodo – interventi coordinati finalizzati alla ripresa, alla rinascita, salvaguardando il mentre.
Insomma, necessita – per un versante – recidere il cordone ombelicale generatosi tra i cittadini e la protesta e – per un altro – dimostrare la capacità di rilanciare, assicurare la migliore pratica amministrativa e generare benessere.
GLI STRUMENTI DELLA RIVINCITA Per altri versi si è registrato il boom dei pentastellati, ai quali va indirizzato l’augurio del migliore buon lavoro, probatorio del distacco che c’è tra la politica e la collettività. Occorre colmare la sacca del disinteresse reale di chi governa verso i bisogni della gente comune, lasciata in balìa delle aziende che chiudono o di quelle che non aprono per una disattenzione abituale di chi ha governato, per una burocrazia non propriamente all’altezza dei compiti necessari per determinare il cambiamento, per una incapacità strutturale a programmare le risorse comunitarie.
Occorre ripartire dalla Regione. Il presidente Oliverio, a margine della sconfitta, avrà modo di virare verso il mutamento in senso lato. Di progetto, di uomini e di priorità. Di quelle che tutti noi conosciamo bene perché ne viviamo sulla nostra pelle le negative conseguenze: sanità e lavoro in primis.
*docente Unical
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