«L’uomo chiave del nuovo equilibrio politico – Aldo Moro – è stato anche l’uomo simbolo del potere da abbattere». Cosi scrive Ezio Mauro nelle sue memorabili “Cronache di un sequestro”. Moro garantiva l’accordo tra Dc e Pci ma era il simbolo del potere reale. Allora, incredibilmente e tragicamente, le armi, oggi il voto. Da abbattere non c’è più Moro, ma, stavolta politicamente per fortuna, il giovane Matteo Renzi, se il paragone si può fare.
E visto il risultato del Pd, il paragone regge. Allora fu ucciso Moro, oggi è stato –metaforicamente – ucciso il Pd, con il suo segretario. Ucciso? Non credo o, almeno, non spero. Per la democrazia e per il Paese. È un fatto incontrovertibile, però, che la batosta che l’ex partito di maggioranza relativa ha ricevuto, sia paragonabile ad uno tsunami che nessuno, o quasi, era riuscito a prevedere. Non all’interno del Pd, men che meno di altre forze politiche, e neanche tra gli osservatori più attenti, editorialisti e luminari dal sopracciglio alzato, sbofonchianti su tutte le reti televisive. Il dato, però è lì. Parla, ha parlato e chissà per quanto tempo ancora parlerà. Per la croce di Renzi – che rimane pur sempre un leader – e la delizia dei commentatori col naso all’insù che, altrimenti, si dovrebbero arrampicare sugli specchi.
Per lungo tempo avranno di cosa discettare, nel linguaggio comprensibile solo a loro. Ahi Montanelli, oh Biagi. Ma tant’è. «Qua siamo», si dice da queste parti. Due sorprese dal 4 marzo. Una immensa, una di meno,ma non tanto, dal punto di vista politico. La stravittoria del Movimento 5 stelle e la vittoria della Lega. Ed è con Di Maio e con Salvini che, oggi, occorre fare i conti. Volenti o nolenti. Li deve fare il cittadino, li deve fare il Pd. Li devono fare, anche e soprattutto, loro. Di Maio e Salvini, alle prese non tanto con l’esame, quanto con la gestione del risultato. Al Nord e, soprattutto, al Sud. Già, il Sud. C’è chi azzarda il paragone dei 5 stelle con la Dc. È blasfemo. (Di Maio è il nuovo Andreotti? «No, non ha la gobba», è stata la battuta di De Mita ospite di Fazio). Perché? Tanti, tantissimi i difetti dello Scudo crociato. Al Sud ha vinto, ha stravinto, chi è riuscito a promettere generando speranze. Ma quando «un partito prende troppo, poi deve restituire con gli interessi» ha annotato il direttore di ricerca dell’Istituto Carlo Cattaneo di Bologna, Piergiorgio Corbetta, studioso vero di flussi elettorali. Non c’è paragone con la Dc? Certo che no, dice. «La Dc non faceva promesse campate in aria: le pensioni le dava davvero, la Dc aveva un network territoriale. Aveva anche i capibastone. Aveva messo in moto, però, iniziative politiche concrete, come la Cassa per il Mezzogiorno e non solo». Oggi, fa capire Corbetta, siamo alle promesse del reddito di cittadinanza, per esempio. I 5 stelle «dovranno dire come faranno a garantire i 780 euro al mese, come attiveranno gli sgravi fiscali. È illusorio. Ed anche se i partiti tradizionali non hanno capito niente, i nodi verranno al pettine», chiosa il ricercatore.
I partiti tradizionali, Pd in testa, non hanno capito. È vero. L’ho già scritto, da piddino convinto ancora. Se c’è un problema irrisolto che grida vendetta al cospetto di Dio, è la “questione” giovani del Sud. Disoccupati, disperati. Promesse a vuoto. Parole inutili, i fatti stanno a zero e da anni. Da qui il successo di Di Maio che ha messo insieme la protesta e la speranza. La protesta – cosa hanno fatto? – e la speranza – proviamo con loro!
E cosa ha trionfato? L’illusione, ancora, del reddito di cittadinanza ma anche – di veltroniana memoria – il lanciafiamme mancato, da parte di Renzi. Le file ai centri per l’impiego e non solo della Puglia sono lì, dimostrano che i disoccupati del Sud ci hanno creduto e ci credono. Attendono di riscuotere, al di là delle fake news. Il lanciafiamme mancato? Certo. Al di là di qualche candidatura irreprensibile, buona parte dei nomi all’interno dei partiti tradizionali e della coalizione di centro sinistra sono stati fatti per far vincere il Movimento 5 stelle. Diciamolo tranquillamente. Impresentabili, inconcludenti, venditori di fumo e, se li vogliamo bene, di parole. Almeno quelli bravi! Ci sono anche coloro i quali hanno problemi col congiuntivo che non si appartiene solo a Di Maio, ma anche a parlamentari piddini o della coalizione. Perché non si è avuto il coraggio di rottamare e di mettere da parte quanti non meritavano di essere ricandidati? Misterium fidei, ma non troppo. E la sfiducia verso gli uscenti è stato un altro motivo del tracollo, sia pure aggiuntivo e non determinante. Ed ecco che Roberto Saviano parla di voto di protesta, ma anche di voto di identità, con chi ha fatto promesse, di fronte ai “fatti” non “fatti” dagli uscenti. Meglio cambiare che ridare fiducia a chi l’ha tradita. Di questi sappiamo, i nuovi vanno messi alla prova, in sostanza. E chissenenefrega dell’Europa, dell’immagine nel mondo, della competenza, delle unioni civili, del dopo di noi, delle altre – non poche – leggi importanti volute da Renzi? Ed ancora: chemenefotteammè se Salvini avrebbe voluto il fuoco del Vesuvio per i meridionali? O se la Lega, pur col Rosario in mano, vuole mandare indietro tutti i migranti, senza carità , in contraddizione con le radici cattoliche? «Prima caritas e poi caritatis», si diceva un tempo. E che Salvini sia senatore di Reggio Calabria? Embè? Aspettiamo i risultati, anche se ha fregato il posto a qualcun altro. Come dice Saviano, col Sud abbandonato, gli elettori hanno scelto di abbracciare i partiti della rabbia. C’è chi è costretto a leccarsi le ferite, ma non può che battersi il petto e dire Gesù Gesù non lo faccio più! È troppo tardi, però! Ci sarà la rivincita? È presto per dirlo, ma spero di sì.
*giornalista
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