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«Spariti i risparmi di 1.700 persone», il Codacons denuncia la Popolare delle Province

La banca calabrese è stata ceduta a un istituto di Bari. Ma il passaggio avrebbe azzerato il valore dei titoli degli azionisti. L’associazione chiede alla Procura di accertare le responsabilità. Di…

Pubblicato il: 29/03/2018 – 12:09
«Spariti i risparmi di 1.700 persone», il Codacons denuncia la Popolare delle Province

CATANZARO Il Codacons chiede alla Procura di intervenire a tutela dei circa 1.700 azionisti della Banca Calabrese, ceduta alla Popolare di Bari, e che hanno visto volatilizzarsi il valore dei propri risparmi.
Un vero e proprio duello rusticano tra la gestione liquidatoria della Banca delle Province Calabre e Bankitalia su chi sia il maggiore responsabile di quella che viene descritta come una beffa per gli azionisti calabresi.
«Ci troviamo dinnanzi un vero e proprio tradimento delle più elementari norme di lealtà e correttezza – sostiene Francesco Di Lieto, vicepresidente nazionale del Codacons – verso i piccoli azionisti calabresi, da parte della gestione straordinaria nominata da Bankitalia».
«Si tratta di una banca nata neppure dieci anni addietro – prosegue la nota del Codacons – che, nonostante le consuete difficoltà iniziali, aveva comunque ottenuto la disponibilità dell’azionariato diffuso a sottoscrivere un aumento di capitale. Purtroppo, la gestione straordinaria, nominata da Bankitalia, e costata circa un milione di euro, ha, inspiegabilmente, rifiutato di eseguire la volontà assembleare, finendo per consegnare l’istituto calabrese alla Banca Popolare di Bari. Alla banca pugliese, per l’assunzione di quella calabrese, sono andati ben 1.370.000,00 milioni di euro, da parte del Fondo interbancario di tutela dei depositi. Alle richieste degli azionisti di poter rientrare in possesso delle loro quote, la gestione liquidatoria li ha cortesemente invitati a rivolgersi a Bari. Di contro Bari sostiene di aver “acquistato” soltanto i crediti nonchè gli introiti dell’azione risarcitoria già avviata contro la gestione ordinaria. Un intollerabile scaricabarile sulle spalle dei piccoli azionisti calabresi».
Il Codacons mette in fila i dati: «La banca calabrese nasce neppure dieci anni addietro, il 19 settembre 2008. L’assemblea dei soci, in data 24 maggio 2014 deliberava, all’unanimità, l’aumento del capitale. Difatti gli azionisti, preoccupati per le difficoltà iniziali, avevano approvato la trasformazione in Società per Azioni, anche per favorire l’ingresso di Fincalabra, società controllata dalla Regione Calabria, che aveva già manifestato la propria volontà a sottoscrivere le azioni, nonché deliberato l’aumento del capitale sociale, per 4,4 milioni di euro, mediante l’emissione, appunto, di nuove azioni. Aumento del capitale e ingresso di nuovi soci che avrebbe certamente salvato la vecchia banca. A ciò si aggiunge come, nella predetta assemblea il presidente del Consiglio sindacale aveva modo di certificare che “il capitale sociale attuale di 8.976.264,00 euro è interamente sottoscritto, versato ed esistente” e inoltre che “non esistono motivi ostativi all’aumento del capitale”».
L’associazione chiede quindi alla Procura «di accertare tutte le responsabilità per la perdita di valore delle azioni. Ed ancora verificare i motivi per cui si è preferito cedere l Banca Calabrese alla Popolare di Bari. Ma anche accertare che fine abbiano fatto quei circa 9 milioni di euro “esistenti” e che, laddove non siano “spariti”, potrebbero essere
utilizzati per rifondere gli azionisti del valore delle loro quote». Ma c’è di più. «Poiché si narra – prosegue Di Lieto – di una eccessiva “bontà” nel concedere credito che abbia determinato il crollo della Popolare, sarebbe doveroso far luce sull’inquietante silenzio alla nostra istanza tesa a rendere pubblico l’elenco dei debitori insolventi. Quelli che hanno depredato le casse della Popolare delle Province Calabre».
Anche in questo senso il Codacons sollecita la Procura «a procedere all’immediato sequestro della documentazione relativa a tutti i crediti giudicati inesigibili».
«Purtroppo – conclude Di Lieto – il silenzio sui chi ha avuto soldi senza poi restituirli, finisce per tutelare i predatori a discapito dei risparmiatori. Calpestando il sacrosanto diritto degli azionisti a conoscere l’identità dei debitori insolventi. È intollerabile che migliaia di azionisti calabresi si siano ritrovati con un pugno di mosche in mano, perché le loro azioni oggi non valgono nulla, e che questa “truffa”, ad oggi, non abbia alcun colpevole».

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