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Democrazia e rivoluzione digitale – di Antonino Mazza Laboccetta*

Sono in pericolo le nostre democrazie. Dirlo non è retorico né enfatico. Lo sono sotto diversi profili. Molti, e autorevoli, sono gli osservatori che lo sostengono. In questi giorni il caso Cambrid…

Pubblicato il: 30/03/2018 – 12:21
Democrazia e rivoluzione digitale – di Antonino Mazza Laboccetta*

Sono in pericolo le nostre democrazie. Dirlo non è retorico né enfatico. Lo sono sotto diversi profili. Molti, e autorevoli, sono gli osservatori che lo sostengono.
In questi giorni il caso Cambridge Analytica delinea seri rischi anche sotto altri profili: mette in discussione la libertà di scelta e la libertà di voto. I pilastri della democrazia.
Società di consulenza e di marketing on-line, Cambridge Analytica viene fondata nel 2013 dal miliardario Robert Mercer, uno dei finanziatori del sito conservatore di estrema destra Breitbart News, diretto da Steve Bannon. Un nome ormai a tutti noto. È stato influente consigliere e stratega della campagna elettorale di Trump. E lo si è visto anche in Italia, impegnato a seguire le elezioni del 4 marzo. «Sento il clima che portò all’avvento di Trump» – così ha dichiarato Bannon davanti all’ondata populista che si respira in Italia, aggiungendo di aver lavorato per dieci anni per costruire un movimento populista-nazionalista negli USA. Il suo obiettivo attuale? Quello di costruire «una rete dal basso, un esercito per diffondere le idee del nazionalismo economico, innanzitutto in America ma anche a livello internazionale. Passerò molto tempo in Europa, qui c’è l’avanguardia del populismo» (fonte: rainews).
Cambridge Analytica, violando i termini d’uso di facebook (è da vedere se si tratti di violazione o di una “falla”, più o meno conosciuta e tollerata, della piattaforma di Zuckerberg & Co: non è questo il punto), raccoglie sul social network quantità enormi di dati: i like degli utenti, i contenuti dei commenti, i tweet. Li elabora secondo sofisticate metodologie: ricorre ad algoritmi e modelli mutuati dalla scienza psicometrica che analizza caratteristiche, comportamenti, tendenze. Quelli cioè che emergono dai like, dai commenti, dai tweet. Cambridge Analytica costruisce profili. E li costruisce anche acquistando dai c.d. “piazzisti dei dati” informazioni sulle abitudini di consumo, sugli interessi che manifestiamo tutte le volte che clicchiamo sulla tastiera. Tutte le volte che compulsiamo siti internet.
Costruiti i profili, Cambridge Analytica li aggrega. Ne vengono fuori dati sui comportamenti sociali, sui gusti, sugli interessi, sulle tendenze, sulle sofferenze, sulle paure, sulle speranze della gente. Che vengono poi lavorati, manipolati, guidati, orientati, alimentati, esasperati attraverso l’uso sapiente degli strumenti digitali.
È così che la “percezione” della realtà può riuscire ad avere la meglio persino sulla stessa “realtà”! E quando si fa campagna elettorale le forze politiche lavorano più sulla “percezione” della realtà (abilmente costruita nei laboratori informatici) che non sulla “realtà”. La cosiddetta pancia del Paese – termine ormai invalso nell’uso corrente – non è che “percezione” della realtà. Umore magmatico, indistinto. Una sorta di notte hegeliana nella quale tutte le vacche sono nere. Tutti ladri, tutti corrotti. Solo tasse. Siamo “invasi” dagli immigrati. Nessuna sfumatura di grigio. Nessuno spazio per “ragionare” dei problemi e delle soluzioni. Perché una è la soluzione: rovesciare il tavolo.
È così che l’America rurale vota il supermiliardario Trump. I poveri votano per i ricchi. Le periferie voltano le spalle alla sinistra, che raccoglie più voti nelle zone “bene”. Nei “salotti buoni”.
A fare scoppiare il «caso Cambridge Analytica» sono le inchieste condotte da due giornali: il New York Times e il Guardian. Mentre negli USA il procuratore speciale Robert Muller indaga sulle possibili interferenze della Russia nelle ultime elezioni, il sospetto è che Cambridge Analytica abbia «orientato» la campagna elettorale in favore di Trump e, sull’altra sponda dell’Atlantico, in favore della Brexit attraverso un’attività di profilazione degli utenti e di manipolazione del consenso.
Si dirà: le solite storie “complottiste”. Può anche darsi. Ma nessuno può negare che la tecnologia informatica ci ponga oggi davanti ad una sfida epocale. La tecnologia informatica schiude un campo enorme, che va seminato di nuovi diritti. Come avvenne, via via, dopo la rivoluzione industriale attraverso un costante, tormentato cammino di emancipazione economica, sociale, politica. Un cammino di democrazia. Cammino: perché la democrazia non è mai conquista definitiva. È lotta diuturna. Perché sempre insidiata da nuove minacce.
Beppe Severgnini, con la solita frizzante lucidità, ci ricorda che il Devoto-Oli riporta, ormai da sei anni, la parola «influencer»: «persona in grado di influenzare i gusti e le scelte di un determinato pubblico». Un mestiere come un altro, esercitato soprattutto attraverso internet ed i social. Ben retribuito «dietro l’apparente spontaneità» di chi lo esercita. «L’apparente spontaneità vende bene. Lo hanno capito, prima di tutti, le case di moda […]».
In un bellissimo libro (Vite che non possiamo permetterci, 2011) Zigmunt Bauman dice che la filosofia del business oggi, nel contesto di una società non più di produttori ma di consumatori, si basa sull’idea che i profitti derivano dallo «sfruttamento dei desideri dei consumatori». Di conseguenza, la direzione delle imprese è quella di «evitare che i bisogni vengano soddisfatti». Come? Suscitando, inducendo, evocando e gonfiando – utilizzo le parole di Bauman – «altri bisogni che chiedono a gran voce di essere soddisfatti». Suscitando, inducendo, evocando e gonfiando «[…] altri consumatori potenziali che agiscono spinti da questi bisogni».
È l’economia dei nostri tempi: quella nella quale «compito dell’offerta [è] creare la propria domanda». E chi non ha i soldi per spendere? Un tempo avrebbe dovuto «stringere la cinghia» – dice Bauman – ma «grazie a Dio e alla benevolenza delle banche, ora non più! Con una carta di credito si può invertire l’ordine dei fattori: godersela adesso e pagare dopo». È la logica dei c.d. mutui subprime, a tutti nota.
Il caso Cambridge Analytica, qualunque sia la verità, pone indubbiamente una sfida reale: quella della manipolazione del consenso attraverso l’(ab)uso della tecnologia digitale. Una sfida diretta al cuore delle nostre democrazie, perché minaccia la libertà di scelta e la libertà di voto della gente. Il pericolo è che dietro gli influencer non si agitino solo case di moda, ma anche convulse ed oscure forze che si muovono per pilotare il consenso politico nelle nostre società “democratiche”.

*docente dell’Università “Mediterranea” di Reggio Calabria

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