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Le opportunità del federalismo per la Calabria

di Ettore Jorio*

Pubblicato il: 03/04/2018 – 12:48
Le opportunità del federalismo per la Calabria

Il federalismo asimmetrico si distingue da quello omogeneo (o simmetrico) perché le entità federali (le Regioni) assumono poteri diversi e godono di rapporti differenziati con il Governo centrale. Nel nostro Paese il rapporto Stato/Regioni, limitatamente all’esercizio delle competenze legislative, è caratterizzato da un regionalismo c.d. differenziato. Ciò a causa delle ricadute che si registrano sul processo di formazione delle leggi che offre l’occasione alle Regioni di fare propria una maggiore autonomia legislativa di quella ordinaria assegnata loro dall’art. 117 Cost. Un sorta di specialità disciplinata in deroga, dal legislatore costituzionale del 2001, per arginare quella deriva (quasi) scissionista che caratterizzava, allora, l’istanza della Lega Nord che urlava ragioni di autonomia del nord-est arrivando a mettere in dubbio addirittura Roma, quale capitale d’Italia.
Ovviamente i tempi sono cambiati e con essi anche la Lega, che con Matteo Salvini ha tentato, riuscendoci, il suo «rinsavimento» politico, tanto da modificare il suo nome e conquistare la leadership del centrodestra pretendendo di guidare il Paese.
Il colpaccio dei referendum
Come è arrivata a ciò è sotto gli occhi di tutti. Ha modificato il rapporto con il resto del Paese costruendo un suo rinnovato protagonismo politico-istituzionale in Veneto e Lombardia, ove è riuscita a celebrare, nel 2017, due referendum consultivi per contare di più sotto il profilo legislativo, approfittando di quanto sancito nel 2001 dall’art. 116 della Cost. A tali iniziative ha fatto da pendant l’Emilia-Romagna, celebrando un analogo referendum, anch’esso dall’esito favorevole, presago della escalation elettorale che ha visto la Lega vincere altresì nella più rossa delle regioni.
Una concorrenza che fa male
Tutto questo, unitamente al progressivo successo di pubblico che hanno registrato ivi i grillini, deve assumere un ruolo centrale nel confronto politico che sta alla base delle politiche territoriali delle Regioni del Mezzogiorno. Più precisamente della nostra. 
Rimanere fermi a constatare inoperosamente la crescente istanza delle Regioni di volersi differenziare dalle altre nell’esercizio della loro competenza legislativa è un atteggiamento politicamente inaccettabile. Va da sé che analoghe pretese a quelle della Lombardia, del Veneto e della Emilia-Romagna si stanno concretizzando sia nelle Marche che in Umbria con verosimile espansione da registrarsi altrove.
Perdurare nell’immobilismo di fronte a siffatte rivendicazioni sarebbe la fine. Reagire è, tuttavia, difficile da immaginare, attese le condizioni di povertà e di precarietà di bilancio che vive la nostra Regione. Tali deficit economici ed erogativi dei livelli essenziali delle prestazioni rendono poco credibile ivi ogni aspirazione di maggiore autonomia.
Fatta questa premessa, diventa naturale per una Regione come la nostra darsi da fare, in un regime di diffusa concorrenza «produttiva» instaurata dalle altre Regioni (basti pensare alla sanità e alla formazione!), nell’aggiudicarsi – attraverso quel difficile percorso indicato dalla Costituzione, nei confronti del quale il Governo dovrebbe maggiormente erigersi a garante dell’unità economica e giudica della Repubblica – ulteriori competenze legislative e, con esse, una maggiore autonomia regolativa e attuativa in ambiti strategici del vivere civile. Un dovere istituzionale, questo, da esercitare con metodo e convincimento, non potendosi solo limitare al tentativo di arginamento di quelle istanze, dal sapore «separatista» e/o economicamente aggressivo, che stanno dividendo il Paese non più in due ma in tre/quattro, ove – nel saldo – la Calabria è sempre maglia nera. Per fare tutto ciò si rende necessario spingere sino a individuare occasioni utili a candidare la Calabria ad assumere vincenti antagonismi in quel mercato che sentenzia gli emergenti ovvero, alternativamente, i vinti.
I limiti esistenziali e le occasioni
Al riguardo, sorge spontaneo il dubbio se e come la differenziazione legislativa, prevista nel 116 Cost., può essere per la Calabria una risorsa, cui fare ricorso.
Di certo, assistere passivamente all’incremento differenziato delle competenze legislative delle altre Regioni omologhe nelle materie più sensibili per la qualità della vita dei cittadini (sanità, assistenza sociale, ambiente, tutela e sicurezza del lavoro, istruzione, ricerca scientifica e tecnologica, protezione civile, porti e aeroporti e, ancora in tema di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario) farebbe soccombere il Sud più maldestro nell’esercizio delle politiche territoriali. Un risultato che determinerebbe, tra l’altro, una incontrollata accelerazione di quel progressivo svuotamento demografico già in atto con consequenziale ricaduta del gettito fiscale relativo e impossibilità di attendere agli obblighi di finanza locale imposti dal «federalismo fiscale».
Non solo. Eliminerebbe alle Regioni – senza il coraggio (ma soprattutto i mezzi culturali) di accettare la sfida di legiferare da sole nelle materie riservate alla legislazione concorrente generative di occasioni produttive (maggiore assistenza, tutela dell’ambiente e del lavoro, istruzione, ricerca e formazione professionale, qualità dei sevizi eccetera) – ogni capacità attrattiva per le iniziative interne e straniere, tanto da dirottare altrove anche quel po’ di turismo di breve durata del tipo quello che rimane alla Calabria.
La partita da giocare
A fronte di questo – che genererà, di qui a qualche anno, uno stato concorrenziale tra regioni ricche e povere tale da determinare un profondo e definitivo insuccesso delle seconde – occorrerà entrare nel gioco e giocare bene la partita.
Ogni Regione debole ma ricca di risorse naturali da spendere sul mercato internazionale, e quindi la Calabria, dovrà valutare se guadagnare o meno un’ulteriore autonomia legislativa ex art. 116 Cost. che dia l’occasione di eccellentizzare le proprie prerogative, tanto da renderle strumento di crescita esponenziale del territorio e della comunità di riferimento. Il tutto ovviamente collaborato dalla legittima pretesa giuridica di fare proprie quelle facilitazioni comunitarie che spettano alle Regioni disagiate così come lo fu la Germania del’Est ai tempi dell’unificazione (1990), a tutt’oggi vigenti (at. 107 del Tfue), da spendere in termini di capacità attrattive delle imprese, italiane ed estere.

*docente Unical

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