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I calabresi hanno deciso di reagire

di Franco Scrima*

Pubblicato il: 09/04/2018 – 10:25
I calabresi hanno deciso di reagire

Fa senso leggere che, mentre in Calabria cresce la disoccupazione e il lavoro rimane una chimera per giovani e adulti, una categoria sociale, quella degli ex politici, dispone di provvidenze che garantiscono loro una vita serena e in alcuni casi agiata. Sono i beneficiari dei “vitalizi”, coloro che, per avere svolto anche un solo mandato parlamentare, percepiscono una rendita mensile che li accompagnerà “vita natural durante”.
Senza scadere nel “populismo”, ma prendendo in prestito alcuni aspetti che fino al 2012 disciplinavano il beneficio dei parlamentari, c’è da dire che un lavoratore è costretto a lavorare almeno fino ai 70 anni per avere diritto ad una pensione che gli consentirà di vivere modestamente. Come si può rimanere impassibili e non manifestare dissenso confrontandosi con quella classe dirigente peraltro dimostratasi sterile verso gli altri, ma assai prodiga verso sé stessa?
Per decenni, in Calabria, ci hanno parlato di futuro, di impegno, di prospettive. Poi anche di banda larga, di fibra e di quant’altro. Ma chi le ha mai viste tutte quelle cose? Chi ne ha beneficiato? Non certamente i calabresi.
I politici hanno lasciato la Calabria più o meno come l’avevano trovata. Con la disoccupazione cresciuta in modo esponenziale, la Sanità che avrebbe dovuto garantire la salute dei cittadini rimasta al palo, priva di certezze; senza Dea di secondo livello (l’unità operativa ospedaliera dedicata ai casi di emergenza per prestare le prime cure in casi di urgenza ed emergenza); con liste d’attesa nell’ordine di mesi e, in qualche caso, anche di anni; con le interminabili code davanti ai pronto soccorso.
La fotografia ci consegna un’immagine della Calabria piegata su sé stessa, impaurita, rassegnata. Come se intervenire per cambiare sia più uno sforzo che una difficoltà.
I segnali spingono verso la diffidenza: non si riesce ad arrestare la povertà che avanza inesorabilmente, il lavoro è assente e i giovani vanno via; quelli che rimangono sperano nel giorno dopo, che però sarà la fotocopia sbiadita del giorno prima. Una regione insomma abbandonata, privata quasi di tutto, che non lascia spazi neanche alla speranza. Un territorio ridotto a serbatoio di voti!
Tuttavia si colgono, specie tra i giovani, deboli segnali di reazioni. La popolazione, ancorché stanca, lancia segnali di vitalità dopo l’onda lunga del dissenso che non risparmia nessuno: dal Pollino fino allo Stretto, per un sussulto di orgoglio, i calabresi hanno detto basta al trattamento da Terzo mondo loro riservato. Lo hanno fatto consapevoli dell’importanza del gesto. È stato come ribellarsi al destino ostile. Lo hanno fatto per non soccombere definitivamente. Hanno trovato il coraggio sulla scia della delusione consapevoli che quella poteva essere l’ultima spiaggia. Un voto dal significato preciso, un invito a percorrere strade alternative, un gesto che deve far riflettere. Un invito a capire che l’approccio con questa terra non può essere lasciato sulla solita tratta tortuosa. La Calabria vuole gli stessi diritti delle altre regioni ed è consapevole di dover dare le risposte opportune. La speranza è che qualcuno cominci a capire che questa regione è uscita dal letargo e chiede rispetto, esige di essere considerata come parte integrante del Paese.
I calabresi sanno che per ottenerlo sarà importante rimanere uniti per essere determinati. Questo è l’unico modo per ottenere risposte alle domande di lavoro per risollevare l’economia asfittica. Sarà la più grande battaglia che la Calabria ha deciso di combattere per garantirsi il diritto al futuro.
La realtà consegna al Paese l’immagine di una terra stanca, avvilita, ma non rassegnata. Tutto appare come se fosse in salita, come se il tempo migliore fosse alle spalle e che cambiare sia uno sforzo più impossibile che difficile. Non è così. I calabresi hanno deciso di reagire. Chi crede nel valore e nella dignità della politica sa che non è così, che non può essere così. I calabresi meritano ben altro! C’è da affrontare la paura e vincerla con il coraggio, la stanchezza con l’entusiasmo, la rassegnazione con la tenacia, sapendo che la crisi che si vive ormai in maniera endemica, non è solo economica, finanziaria, occupazionale, ma anche di valori. Ecco perché cambiare direzione sarà la più grande scommessa per questa Terra ormai intenzionata a vincere, costi quel che costi. E’ un impegno per restituire un futuro a questa regione e ai giovani sapendo che se si chiedono diritti, bisognerà assumere doveri. E la legalità riveste il primo dei doveri cui bisognerà far fronte ed essere al di sopra di ogni altra cosa. Essa ha bisogno di impegno costante nella persistente lotta alla criminalità organizzata, autentica piaga per la Calabria e il Paese. Combattere il crimine organizzato deve rappresentare un impegno sociale al pari delle riforme, a partire da quelle della giustizia.
La Calabria che vogliamo è quella che sa attrarre turismo, quella dei beni culturali, della riscoperta delle sue vocazioni, della bellezza del paesaggio. È quella che sa lanciare la sfida dell’agricoltura e della creatività in tutte le sue forme. Che attraverso le politiche economiche invogli le imprese ad investire anche nella nostra regione.
Diventare competitivi sui mercati con i prodotti dell’agricoltura deve essere un impegno pari a quello di far conoscere la bontà della nostra cucina, diffondendo lo slogan “voglia di mangiare calabrese!”. La promozione del territorio è importante, ma lo è ancora di più la tutela dell’ambiente.
Bisogna rendersi conto che non sarà possibile parlare di sviluppo se non si è convinti dell’importanza di alcuni beni primari come l’istruzione, per farlo bisognerà cominciare dalle strutture scolastiche che debbono essere efficienti. Senza istruzione adeguata non possono essere ipotizzabili salti di qualità per il resto del Paese.
Dopo 157 anni dall’Unità d’Italia e 70 dalla Costituzione Repubblicana è tempo di dimostrare che siamo diventati adulti. Si cominci a far sentire il fiato sul collo a chi ci governa, a chi ci rappresenta in Parlamento, controllando il loro operato. È responsabilità della politica raccogliere il consenso, ma è compito degli elettori controllare. Anche questo dopotutto è fare buona politica! È tempo di dimostrare che finalmente si fa sul serio, che non si rilasciano più cambiali in bianco, che non è più l’epoca della ricerca dell’uomo della provvidenza perché, per dirla con Sciascia, per adesso abbiamo trovato solo “mezzi uomini” se non “ominicchi”.

*giornalista

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