VIBO VALENTIA Una faida nella faida. Nel contesto dello scontro ultradecennale tra i clan Loielo ed Emanuele si inserisce anche l’odio covato negli anni tra le famiglie Inzillo e Nesci. E Sorianello, paesino aggrappato alle colline delle Preserre vibonesi, è diventato così l’epicentro di una sanguinosa guerra di ‘ndrangheta che ha lasciato sul campo molte, troppe vittime. Una faida storica, «che non si fermerà» perché «i Loielo vogliono la vendetta per i propri genitori e perché ognuna delle due fazioni vuole il controllo di quella zona». Le parole che il pentito Nicola Figliuzzi fa mettere a verbale lo scorso 14 gennaio lo confermano. Dopo l’omicidio dei fratelli Pino e Vincenzo Loielo (aprile 2002) e la scalata criminale del boss Bruno Emanuele, gli equilibri della ‘ndrangheta delle Preserre erano stati rimessi in discussione dagli arresti dell’operazione “Luce nei boschi”, così le nuove leve dei Loielo – foraggiate dal boss Pantaleone “Scarpuni” Mancuso – hanno provato a vendicare i propri morti e riprendersi il territorio su cui nel frattempo era diventato egemone il clan avversario.
TRE AGGUATI FALLITI È questo il contesto in cui crescono i giovani legati alle due cosche e Alessandro Giovanni Nesci, “Alex”, è uno di loro. Hanno provato a farlo fuori per ben tre volte ma il 28enne, vicino ai Loielo, è sempre riuscito a scamparla. La prima volta, il 16 novembre del 2011, tre colpi furono sparati contro la sua Peugeot 207 mentre percorreva la strada che collega il centro di Gerocarne alla frazione Ariola; il secondo agguato, avvenuto il primo aprile 2017 sempre mentre era in auto, aveva avuto lo stesso esito; il terzo episodio, il 28 luglio 2017, ha causato il ferimento lieve del fratellino 13enne, Manuel, affetto da sindrome di Down e colpito all’addome mentre era con Alex a piedi nel centro storico di Sorianello. Per quest’ultimo episodio con l’operazione “Black Widows” sono state sottoposte a fermo sette persone, tra le quali ci sono le sorelle (Viola e Rosa) e il fratello (Domenico) di Salvatore Inzillo, 46enne ucciso, sempre nel centro storico di Sorianello, il 21 giugno 2017 (foto).
LE RADICI DELL’ODIO I due fatti che hanno insanguinato le viuzze di Sorianello nell’estate del 2017 sarebbero per gli inquirenti strettamente collegati, ma l’odio tra le famiglie Inzillo e Nesci avrebbe radici lontane. Diversi anni prima c’era stata infatti una rissa in cui erano rimasti coinvolti diversi componenti delle due famiglie. Inzillo, tra l’altro, era già scampato ad un agguato nel novembre del 2009. All’epoca l’uomo era stato raggiunto da diversi colpi di arma da fuoco mentre a bordo della sua auto si trovava in località Torre di Sorianello, e alcuni suoi parenti hanno dichiarato alle forze dell’ordine che lui era convinto che a sparargli fossero stati proprio Nesci e Nicola Rimedio (ucciso il 2 giugno 2012). Entrambi legati ai Loielo, i due furono tra i cinque indagati per quell’episodio. Mentre, appena due giorni dopo l’omicidio di Inzillo, una telefonata anonima partita da una cabina telefonica di Vibo Marina segnalava ai carabinieri dei Serra San Bruno che a uccidere Inzillo fossero stati Alex Nesci e il padre Angelo.
IL PENTITO Regista interessato delle faide tra i Patania e i “Piscopisani” e tra i Loielo e gli Emanuele era “Scarpuni”. Lo conferma il pentito Figliuzzi: «Ogni volta che si organizzava un omicidio o un tentato omicidio sia prima dell’esecuzione dopo l’esecuzione Saverio Patania si recava a parlare con Pantaleone Mancuso». Mancuso infatti «aveva collegamenti sia coi Loielo che coi Patania. Ognuno operava per sé ma si aiutavano per tutto». Lo stesso pentito, prima assoldato dai Patania, divenne poi organico ai Loielo: «Mi sono avvicinato ai Loielo nell’anno 2012, quando Saverio Patania mi mandò da Loielo Rinaldo perché lui aveva chiesto di poter avere il contatto con una persona che poteva sparare». All’epoca, spiega il pentito, i vertici degli Emanuele, il boss Bruno e il fratello Gaetano, erano stati arrestati e Rinaldo Loielo, per vendicare il padre e lo zio e per riacquistare potere nelle Preserre «aveva deciso di assassinare il loro referente sul territorio».
LA SCIA DI SANGUE Dopo l’omicidio di Pino e Vincenzo Loielo per una decina di anni le lupare si fermarono, ma nel 2012, dopo l’ondata di arresti di “Luce nei boschi”, si riaprì la faida. Una lunga scia di sangue iniziata con il tentato omicidio di Giovanni Emmanuele, vicino alla famiglia Emanuele, avvenuto il primo aprile di quell’anno a Sorianello. Seguirono gli omicidi di Nicola Rimedio («legato – annotano gli inquirenti – anche da vincoli parentali al clan Loielo); Antonino Zupo (affiliato agli Emanuele, ucciso il 22 settembre 2012; di Domenico Ciconte (vicino ai Loielo, 25 settembre 2012); Filippo Ceravolo (estraneo al contesto criminale, ucciso il 25 ottobre 2012 in un agguato destinato a Domenico Tassone, vicino agli Emanuele); Salvatore Lazzaro (affiliato ai Loielo, 12 aprile 2013. Quindi il tentato omicidio di Valerio Loielo il 21 luglio 2014; il tentato omicidio di Antonino, Alex, Chiara e Rita Loielo e di Alessandra Sofia (22 ottobre 2015); il tentato omicidio di Walter, Rinaldo e Valerio Loielo (5 novembre 2015). Infine, di recente, oltre agli agguati falliti ad Alex Nesci e al delitto Inzillo, la bomba piazzata sotto l’auto di Nicola Ciconte (ritenuto vicino ai Loielo) lo scorso 25 settembre e l’omicidio di Bruno Lazzaro, accoltellato lo scorso 4 marzo. Quest’ultima vicenda è per gli inquirenti «allo stato avulsa dalle vicende legate alla faida in atto, ma pur sempre inserita nel contesto criminale in esame, essendo stato il Lazzaro soggetto molto vicino agli Emanuele». Lo stesso Lazzaro, infatti, secondo la Dda avrebbe sparato proprio ad Alex Nesci e al fratello in concorso con Antonio Farina. Rosa Inzillo e Michele Nardo, invece, sarebbero gli istigatori ed organizzatori dell’agguato.
Sergio Pelaia
s.pelaia@corrierecal.it
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