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Ripartire dai circoli si può. Ecco come

di Antonio Viscomi*

Pubblicato il: 10/04/2018 – 23:59
Ripartire dai circoli si può. Ecco come

Il dibattito sul futuro del Pd è aperto. Dopo la sconfitta del 4 marzo i militanti si interrogano, forse più ancora dei quadri dirigenziali, soprattutto in Calabria. Oggi vogliamo offrirvi, come spunto per la discussione, il post pubblicato martedì sera dal deputato dem Antonio Viscomi sul suo profilo facebook. Una riflessione sul ruolo fondamentale dei circoli, da molti evocato nelle ultime settimane. Il docente universitario propone undici punti (con qualche sotto-punto) da cui ripartire. Eccoli.
Ripartire-dai-circoli. Sì, ma come? Per rigenerare l’azione politica. A condizione di avere qualcosa da dire e da comunicare. Cioè: una idea di futuro e una visione di società.
1. Ripartire-dai-circoli. Dopo il quattro marzo l’abbiamo detto tutti (o quasi). Ma che cosa vuol dire ripartire-dai-circoli e come evitare che questa espressione possa diventare una sorta di mantra, per alcuni utile ad attutire l’angoscia della sconfitta, per altri invece comodo alibi per nascondere l’incapacità di pronunciare parole nuove, in grado di parlare al cuore e alla testa delle persone?
2. Porsi questa domanda comporta, in generale, interrogarsi sulla ragion d’essere e quindi sulla funzione e sulla conseguente struttura organizzativa del partito. Ma significa anche, in Calabria, avere il coraggio di rompere tutte le incrostazione che di fatto hanno a volte mummificato gli spazi primari della socializzazione politica, rendendoli vittime di pratiche proprietarie, clamorosamente messe a nudo dai rapporti inversamente proporzionali tra iscritti, partecipanti alle primarie, elettori e voti ricevuti.
2.1. Parafrasando un noto detto potremmo dire che da noi, e almeno statisticamente e fatte salve le dovute eccezioni (ma quante? ma dove? ma quando?) a circoli pieni corrispondono (o forse sarebbe meglio dire: conseguono) urne vuote. E lo stesso potrebbe dirsi delle primarie. Insomma, la “liquidità“ del partito non si è tradotta, da noi, come pure avrebbe potuto ragionevolmente auspicarsi, in una fluidità in grado di penetrare ed irrorare gli interstizi della società, ma si è trasformata in una eterea evanescenza organizzativa e quindi in una sostanziale debolezza della stessa proposta politica.
3. Questa è la ragione per cui personalmente reputo che una strategia di valorizzazione dei circoli richieda almeno tre condizioni preliminari:
a) una seria verifica della effettività vitale dei circoli esistenti e l’immediata chiusura di quelli non vitali;
b) l’immediato azzeramento del tesseramento e conseguentemente di tutti gli organismi eletti tenendo conto dello stesso, da ricostituire sulla base di normali e statutarie dinamiche democratiche;
c) l’assunzione come principio guida inderogabile per il nuovo tesseramento della presenza personale di chi chiede l’iscrizione, con carta di identità in una mano e gli euro della tessera nell’altra (anche se, in alcuni casi, pochi per fortuna, non sarebbe male chiedere anche un certificato penale).
4. Dunque: mai più elenchi chiusi di aspiranti iscritti, mai più tessere acquisite e non pagate. Al contrario: massima trasparenza possibile in ordine agli iscritti al partito e sulla distribuzione e destinazione delle risorse finanziarie acquisite con il tesseramento. Insomma, tutto pubblicato fin da subito sul web, a partire dai bilanci. Francamente, non capisco, più esattamente capisco ma non condivido, la ritrosia nel pubblicare tutto sul web: entrate, uscite, nomi, cognomi, documenti, proposte e così via. A me pare che la luce del sole sia il migliore antidoto contro le possibili degenerazioni che sempre rischiano di minare alla radice la credibilità stessa di ogni organizzazione complessa.
5. Peraltro, non deve dimenticarsi che il tesseramento segna l’ingresso in una comunità politica composta da persone che perseguono un medesimo fine (quand’anche i mezzi e le strategie possano poi essere differentemente articolati). Per questo, il tesseramento dovrebbe essere una festa collettiva, un momento in cui riscoprire l’orgoglio dell’appartenenza, da vivere gioiosamente insieme agli altri. Più che una giornata dedicata al tesseramento dovremmo essere in grado di costruire una festa del tesseramento.
6. Ecco, sogno un partito in cui l’iscritto provi un vero senso di orgoglio nel poter dire “il-mio-circolo”. Anche per queste ragioni, personalmente credo che l’essere iscritto debba comportare anche alcune prerogative e fra queste quelle relative all’individuazione degli organi chiamati a realizzare gli indirizzi politici decisi dagli stessi iscritti, non essendo ragionevole trasferire il senso delle primarie dal livello istituzionale e di governo a quello proprio del partito.
7. Riprendendo il discorso, che cosa dunque vuol dire “ripartire-dai-circoli”. Proverò ora a condividere un paio di semplici innovazioni organizzative che non hanno la pretesa di essere le uniche, le migliori, le più opportune, ma intendono semmai avviare una riflessione presa sul serio sulla necessaria funzione dei circoli per la selezione delle domande politiche provenienti dal territorio e per la ricerca del consenso tenendo conto di alcune peculiari caratteristiche regionali.
8. La prima innovazione riguarda definizione di una più adeguata dimensione territoriale per l’organizzazione e l’attività dei circoli, che sia finalmente coerente con la dimensione stessa dei problemi, degli interessi, dei bisogni che vengono proposti e sottoposti alla sfera della valutazione e dell’azione politica. In qualche misura si tratta di integrare, e per almeno due buoni motivi, la tradizionale sovrapposizione tra comune e circolo.
8.1. Da un lato, perché le stesse amministrazioni comunali ormai sono orientate alla creazione di più solide reti organizzative, fino ad arrivare alla fusione, dal momento che i problemi da affrontare e le questioni da gestire hanno una dimensione territoriale più ampia dei confini del singolo comune.
8.2. Dall’altro lato, perché l’iniziativa politica dei circoli deve esplicarsi senza subire i condizionamenti di dinamiche di campanile che spesso hanno addirittura portato alla compresenza nella stessa amministrazione comunale di esponenti di più circoli, alcuni in maggioranza e altri all’opposizione.
8.3. In poche parole, la dimensione dell’iniziativa politica deve essere tendenzialmente adeguata al livello della questione trattata. I beni comuni, che costituiscono l’oggetto privilegiato dell’azione politica, sono beni in comune, ma non si chiudono nei confini di un comune e nel suo territorio: sanità, ambiente, mobilità, difesa del suolo, scuola, turismo, lavoro, sono temi che impongono una visione ed una azione almeno distrettuale.
8.4. Sono ben consapevole che già oggi esistono reti territoriali tra militanti e circoli, e anche tra amministratori democratici; ma si tratta di reti che sembrano trovare radicamento, il più delle volte, in affinità personali o in comuni sensibilità, laddove invece è proprio la necessità di dare risposte effettive ai problemi delle persone ad invocare ormai l’assunzione di una necessaria dimensione territoriale dell’azione e dell’organizzazione politica.
8.5. A ben vedere, ripartire dai territori vuol dire semplicemente ripartire dai problemi che sempre più hanno una dimensione territoriale. Ripartire-dai-circoli vuol dire allora ripensare e soprattutto iniziare a costruire una rete comprensoriale dei circoli e a promuovere una dimensione territoriale dell’iniziativa politica. In una regione come la Calabria, segnata dalla presenza di 404 comuni dei quali 223 con meno di tremila abitanti, in una regione della quale è stato detto che “natura e cultura hanno diviso i calabresi tra loro e con il resto del mondo” (Placanica), riuscire a lavorare politicamente superando finalmente consolidate barriere identitarie a carattere campanilistico rappresenta veramente un passo in avanti. Anche per questo ho cercato di promuovere, in Regione e nella mia precedente veste, un nuovo disegno della geografia amministrativa degli enti locali.
8.6. La seconda innovazione riguarda la necessità che l’azione politica dei circoli abbia una proiezione adeguata sul piano della comunicazione pubblica. Il che però presuppone che si abbia qualcosa da comunicare, che non sia la mera rappresentazione selfistica della propria presenza. Da una rapido sguardo sui profili Facebook e Twitter mi pare che siano veramente pochi i circoli presenti come tali, mentre ovviamente molto elevata è la presenza personale di iscritti, militanti e dirigenti di circolo. Potrà piacere o non piacere ma è ormai un fatto che la comunicazione politica passa per le vie, e per alcune vie in particolare, del web. Anche la mitica casalinga di Voghera compulsa ormai, quasi ossessivamente, il diario di Facebook. Quello stesso web che pure consente di creare delle piazze virtuali dove incontrarsi e confrontarsi, mediante piattaforme di discussione, ovvero delle grandi vetrine dove possono trovare collocazione unitaria vari prodotti, quale potrebbe essere un portale dei circoli in grado di consentire anche una emulazione positiva tra gli stessi.
9. Innovazioni come quelle proposte costano veramente poco, anzi, potrebbero portare anche una riduzione dei costi effettivi sopportati dagli iscritti per affitti di stanze di fatto chiuse per molti giorni all’anno. Semmai si tratta di innovazioni – tutte ancora da declinare nelle specifiche modalità operative – che a me paiono utili per riprendere una iniziativa politica che sappia guardare al territorio, ai comprensori ed ai distretti, come luogo privilegiato di espressione e razionalizzazione dei bisogni e delle domande di intervento della politica e che sappia inserire ogni problema all’interno di una visione di sistema e di sistema locale in modo particolare.
10. Va da sé, ma forse è bene evidenziarlo, che tutto funziona se le decisioni e le richieste dei circoli hanno un loro indiscutibile peso e non siano considerate poco più pesanti di una piuma.
11. Territorio e comunicazione non sono parole taumaturgiche; sono solo due chiavi per orientare la rigenerazione dell’iniziativa politica. A condizione di avere qualcosa da dire e da comunicare: cioè una idea di futuro e una visione di società, equa solidale e sostenibile.

*deputato Pd

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