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Tutti rincorrono i voti del Pd

di Gregorio Corigliano*

Pubblicato il: 12/04/2018 – 12:09
Tutti rincorrono i voti del Pd

In questi giorni, stiamo leggendo di tutto. Ed anche il contrario di tutto. Un esempio, tra tanti? La posizione di Ernesto Galli della Loggia su Matteo Renzi ed il Pd e quella di Paolo Mieli, due tra i più autorevoli editorialisti del quotidiano di Via Solferino, passato – ancora non si sa come e perché- nelle mani del signor Nessuno, sono antitetiche. Galli della Loggia scrive testualmente che il Pd ha un solo leader, Renzi, dotato di grinta, capacità, audacia. Mieli, di contro, sostiene che Renzi dovrebbe sparire o quanto meno starsene in silenzio. Chi ha ragione? Non si sa. Lo diranno i giorni a venire. È un fatto, però, per l’ira di quanti non l’hanno votato, che Renzi ancora non è morto. Morirà, come tutti noi comuni mortali, ma, forse, è ancora presto. Anche politicamente. È un altro fatto, però, che la corsa in soccorso del vincitore stia raggiungendo il traguardo. Cosa occorre dire? Siamo fatti così. E non si tratta dell’uomo di strada ma di intellettuali, giornalisti, professori universitari, sociologi, attori. In gran parte verso Luigi Di Maio, altri in direzione Salvini. Non certo per amor di patria. Ed erano personaggi proni a Renzi dopo o a Bersani prima, per amore di “cadrega” o di incarico, non certo per la linea politica. O per ideologia, o perché dalla parte degli ultimi o dei diseredati.
No, certo. C’è sempre stato un incarico alla Rai anelato, voluto o esplicitamente chiesto, nelle università, nel mondo della fiction o delle banche e del mondo economico, a cui candidarsi. Adesso Renzi ha perso e nessuno lo conosce più. Tutti sono diventati o si sono scoperti, anche se non è vero, amici di Di Maio, prima che di Salvini. Nonostante Di Maio, come ha scritto mirabilmente Vittorio Feltri che, notoriamente, non si fa amare, sia un «ragazzotto senza arte né parte». E se Renzi ha studiato, si è laureato, ha fatto il sindaco ed il presidente della provincia di Firenze, Di Maio è «un signor nessuno» che, però, è stato votato da undici milioni di elettori e, adesso, viene preso sul serio da fior di commentatori, trattato da quanti ha fatto eleggere come Quintino Sella o Alcide De Gasperi. A parere di Feltri – che ha parlato di voto da parte di cittadini senza senno o rimbambiti – il fenomeno di Maio va studiato «per capire come mai e perché abbia sedotto terroni e vari settentrionali, dall’encefalogramma piatto». Conclusione di Feltri: «passare da Leonardo da Vinci, da Marconi, da Fermi, da Galileo Galilei e da Rubbia a Di Maio è un’offesa intollerabile. Occorre riconquistare un minimo di dignità!». Non è vero, forse? Certo che lo è. Cosi abbiamo voluto e così è. Certo non è che non ci siano responsabilità enormi. Ci sono, eccome. Per aver fatto cose negative o, soprattutto, per non aver fatto cose positive. Renzi – e non solo lui- che è diventato il capro espiatorio di ogni nefandezza – devono battersi il petto e recitare, in secula seculorum, atti di dolore e mea culpa, nelle pubbliche piazze, anche di periferia. E ci sta. Da qui a dire, però, che deve sparire, come dice Paolo Mieli – anche lui ha seguito Ennio Flaiano?- ce ne corre! E non per i paragoni (im)possibili tra il leader perdente e l’astro nascente, bensì per il fatto che, volenti o nolenti, ci sono elettori che dell’ex segretario si fidano, eccome.
E sperano che, prima o poi, possa tornare, nonostante il Pd, o alcuni elementi di quel partito che, anche Di Maio, vuole coinvolgere in un futuro governo. Prima Pd senza erre, adesso Pd con la erre! Peccato che il leader pentastellato dica che Renzi o Salvini siano la stessa cosa. Lo sa Di Maio che non è proprio la stessa cosa? Penso di sì. Anche perché si è dovuto sorbire il niet di Martina (simpatico?) che manuregge il partito del Nazareno, non solo del Crocifisso (Renzi). Un no secco alle profferte dimaiesche. Sia perché una scelta non c’è stata questo (Renzi) o quello (Salvini) per me pari sono, sia perché, hanno ribadito i quadrunviri consultati da Mattarella, all’opposizione ci hanno mandato gli elettori.
Ed il mandato non si tradisce. Le colpe vanno espiate. Ha voglia Marco Travaglio a sostenere, spudoratamente, che il Pd deve dare il sostegno ai cinque stelle e che non può abbandonare il Paese. Finanche questo. Il Pd ha perso, il Pd è stato – e giustamente – punito ma deve farsi carico dei problemi italiani. Ci vuole una bella dose di faccia tosta. Visto che conviene a lui, il Pd deve essere responsabile! E l’altro editorialista del Corriere? Quello che per esser conosciuto aspetta che Lilli Gruber lo inviti, visto che quel che scrive, assai spesso, non è ben evidenziato e, quindi, letto? Si tratta di Massimo Franco che quando il Pd si è pronunziato per il no all’appoggio dei cinque stelle ha scritto: «All’opposizione di cosa?». Un partito sconfitto, un partito umiliato cosa dovrebbe fare? Allearsi con quanti da anni lo insultano, per usare un eufemismo? Trattare e condividere il prendere o lasciare di Di Maio, Di Battista, Toninelli e compagnia? Certo che no. Usque tandem? Chi vivrà vedrà. Perché scaricare su altri colpe o incapacità proprie? I risultati elettorali sono lì, parlano. Anzi gridano. Ognuno, per la parte di competenza e responsabilità, non può non farsene una ragione.

*giornalista

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