VILLA SAN GIOVANNI Giorni di analisi nelle assemblee dei circoli dem calabresi. Le elezioni del prossimo segretario non sono poi così lontane e la necessità di capire con precisione gli errori che hanno portato il Partito democratico al risultato più basso della sua storia si alterna alla possibilità di ripartire subito, mettendo in campo forze fresche e nuove energie. Non si sottrae alla discussione aperta neanche l’area di Villa San Giovanni dove alla presenza di Seby Romeo, capogruppo Pd al consiglio regionale, è toccato al presidente Nicola Irto e all’onorevole Demetrio Battaglia chiudere i lavori di un’articolata assemblea. Irto ha raccolto tutte le sollecitazioni provenienti dai partecipanti auspicando sempre più un partito di cittadini e non solo di dirigenti che sappia scuotere ogni rendita di posizione per offrirsi come agorà aperta alle richieste del territorio e chiusa alle sterili logiche immobiliste di una pseudo politica che non sa scegliere, che non sa impegnarsi spassionatamente e senza interessi spiccioli. Di riforma delle nomine, quindi, e di necessità di interventi concreti nell’ultima fase della legislatura regionale ha ancora parlato Irto, auspicando un ritorno costruttivo a quelle buone ragioni, a quelle giuste battaglie che la sinistra non ha saputo fino in fondo incarnare mettendosi sotto scacco a fronte di una protesta contro quei progetti di cambiamento che sono stati, purtroppo, esperiti come esigenze solo di casta.
Per Demetrio Battaglia: «Il Pd ha perso perché vittima delle paure; di paure governate ad arte da chi teme invece il cambiamento reale. Non si comprende altrimenti non solo il successo del Movimento 5 Stelle ma anche quello di un centrodestra che davvero non può aver riconosciuto alcun merito di fronte ad un meridione fiaccato dalle sue ricette amministrative e politiche».
Battaglia è stato chiaro nell’affermare, quindi, che il voto contro il Pd non è stato solo un voto di sterile protesta da parte degli emarginati ma anche e soprattutto la risposta di un apparato «che finge di volere il cambiamento radicale per, poi, non cambiare davvero nulla». L’errore del Pd secondo Battaglia, all’indomani della sconfitta referendaria, è stato quello di non puntare sul 40% ottenuto e sulla spinta riformistica che, ancora allora, incarnava nei democratici un’opportunità di modernizzazione del Paese. «Il Vietnam del Pd, poi, è stato proprio il Sud, – ha concluso Battaglia-laddove si è scontato pure un evidente deficit di classe dirigente che va combattuto con il rilancio di un vero meridionalismo dei territori, fondato sulla credibilità dei rappresentanti e sulla testimonianza oggettiva di una appartenenza precisa ad un progetto che trascende il destino dei singoli».
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