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«Morire in povertà dopo una vita di successo»

di Franco Laratta*

Pubblicato il: 17/04/2018 – 7:52
«Morire in povertà dopo una vita di successo»

Nei giorni scorsi è morta Isabella Biagini, showgirl di grande successo negli anni ‘70, sapeva essere sexy e divertente, appariscente, bella e autoironica.
La sfortuna, gli incidenti, le malattie si accanirono contro di lei, costretta a vivere di stenti negli ultimi 10 anni. È morta in solitudine, come spesso capita ai grandi artisti, agli uomini di cultura, ai grandi scrittori, anche ai calciatori: non tutti sono capaci di amministrare e gestire i loro guadagni, anche in previsione del loro futuro.
Alcuni anni fa è morto un grande scrittore calabrese, Saverio Strati (nella foto). Viveva nei pressi di Firenze in un modesto appuntamento, praticamente dimenticato da tutti. Mancava da anni dalla Calabria. I suoi libri appartengono alla storia e alla cultura della Calabria del ‘900.
Il «Quotidiano della Calabria» segnalò le difficilissime condizioni di vita di Saverio Strati. Era il 2009 ed io ero parlamentare, le notizie delle pessime condizioni economiche del grande scrittore calabrese mi colpirono molto. Avevo potuto verificare che in pratica non aveva nulla, viveva in povertà.
Mi preoccupai insieme ad alcuni colleghi deputati di proporre formalmente l’applicazione per Saverio Strati dei benefici previsti dalla “legge Bacchelli”, per speciali meriti artistici. Si tratta una legge importante che va in soccorso agli uomini di cultura e agli artisti che ad un certo punto rimangono da soli e senza nulla per poter vivere. E sono tanti. Formalizzammo la richiesta al governo, motivandola e segnalandone l’urgenza.
Dopo alcuni giorni ho ricevuto una telefonata dal grande scrittore, chiaramente commosso: «Onorevole ho saputo dell’iniziativa – mi disse con voce rotta, appena percettibile –. In realtà io non ho quasi più nulla di cui vivere. La ringrazio per quello che farete per me».
Tutto potevo immaginare ma non di ricevere un giorno una telefonata così triste da uno scrittore che avevo letto e amato sin da ragazzino.
Nato nel 1924 in una famiglia povera a Sant’Agata del Bianco, fu costretto a lasciare la scuola e a lavorare nei campi per guadagnarsi da vivere. Riuscì con grandissimi sacrifici a conseguire la maturità classica e a laurearsi in Lettere. Il grande critico Giacomo Debenedetti gli aprì le porte della Mondadori.
Tra i sui romanzi: La Teda (1957), Tibi e Tascia (premio Vaillon 1960), Noi Lazzaroni (Premio Napoli 1972), Il selvaggio di Santa Venere (Supercampiello 1977).
Il governo decise quasi subito di applicare la legge Bacchelli per Saverio Strati. Marco Minniti è stato determinante. E fu una cosa giustissima.
Prima di morire (nel 2014) aveva avuto il modo di scrivere: «la Calabria un giorno avrà la possibilità di sottrarsi a questo destino di emarginazione e di disagio se ci sarà l’impegno di più generazioni, partendo dalla scuola e dall’università, per tradurre in normali atti quotidiani il rispetto di se stessi, che incomincia col rispetto degli altri, in particolare dei più fragili e dei più bisognosi».
Ho raccontato le condizioni di vita di due personaggi così diversi, Isabella Biagini e Saverio Strati, ma in realtà sono decine e decine quelli che finiscono in condizioni di estremo bisogno.
La cosa ci deve insegnare a capire che il successo nella vita è veramente effimero, scompare rapidamente come un tramonto.
Dobbiamo convincerci che la gloria, il successo, durano giusto il tempo di un’alba.
Sic transit gloria mundi: come sono effimere le cose del mondo!

*Giornalista ed ex parlamentare

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