REGGIO CALABRIA Passa in mano allo Stato l’intero patrimonio di Pino Rechichi, il noto imprenditore reggino che il clan Tegano ha voluto come direttore tecnico della Multiservizi, la prima delle società miste nate a Reggio Calabria. Per ordine della Corte d’appello i militari del comando provinciale della Guardia di Finanza hanno messo sotto sigilli l’intero patrimonio aziendale di Sica, Recim e Comedil, tutte imprese a lui riconducibili. Per anni nome e volto della Reggio bene, Rechichi, condannato in appello per associazione mafiosa, in realtà sarebbe stato da sempre un uomo del clan Tegano. È grazie a lui e alle aziende a lui riconducibili – ha svelato l’inchiesta Archi Astrea e hanno confermato i processi che ne sono scaturiti – che il potentissimo clan di Archi è riuscito ad infiltrare la Multiservizi, con l’appoggio e l’ausilio – si legge nelle carte – «di liberi professionisti e probabilmente, di centri di potere ancora nell’ombra».
BRACCIO ECONOMICO I clan però emerge dalle sentenze, si sono affidati a lui non a caso. Per i giudici, l’ex direttore operativo della più grande società mista della città era il «braccio economico del sodalizio esaminato, con ogni probabilità ancor più marcatamente di altri sodali e coimputati». Un uomo di fiducia assoluta, conquistata in decenni di lavoro sotto traccia.
TEMPI DI GUERRA Diversi pentiti – dall’ex capolocale di Catona Paolo Iannò, allo storico fidanzato dell’unica figlia di don Paolino De Stefano, Nino Fiume, passando per il nipote di Giovanni Tegano, Roberto Moio, e altri collaboratori del calibro di Giovanni Fracapane e Nino Lo Giudice – sono stati in grado di parlare in dettaglio dei suoi strettissimi rapporti con il clan Tegano, risalenti – hanno messo a verbale – anche alla seconda guerra di ‘ndrangheta. All’epoca – si legge anche nel capo di imputazione – Rechichi si muoveva all’ombra di Carmelo Barbaro, uomo di peso degli arcoti, e aveva «fornito supporto logistico ai gruppi di fuoco, impiegati nell’agguato a Nino Imerti in agro di Fiumata di Muro».
TEMPI DI PACE Ecco perché – è emerso dal procedimento Archi Astrea – lo storico casato di Archi ha puntato su di lui per gestire Multiservizi, uno dei pilastri fondamentali dell’accordo quadro di colonizzazione delle società miste su cui sono stati costruiti i nuovi assetti della ‘ndrangheta in città.
COLONIZZAZIONE Per prendersi la società, grazie a Rechichi, gli arcoti hanno messo in piedi complesse operazioni societarie e bancarie, tra loro intimamente collegate, che hanno permesso ai vertici del clan di colonizzare la Multiservizi S.p.A «tramite la presenza di persone di massima fiducia nella compagine societaria del socio privato della stessa (ed in particolare di una delle tre società detentrici delle relative quote di capitale), sì da conseguire gli enormi profitti pattuiti con l’ente pubblico locale per l’attività di manutenzione ordinaria e straordinaria del relativo patrimonio immobiliare».
LABIRINTO SOCIETARIO Sebbene nel tempo le società abbiano formalmente cambiato nomi e proprietari, quasi tutti legati o gravitanti nell’orbita degli arcoti, identica è rimasta – dice l’inchiesta – l’identità economica e gestionale. E nel tempo i Tegano hanno continuato ad attingere dai fondi del Comune di Reggio Calabria, che proprio in quegli anni avanzava a grandi passi verso il cratere di bilancio. Nel frattempo, i clan crescevano, ingrassavano, costruivano il loro consenso sociale anche grazie alle assunzioni pilotate che – è emerso dai procedimenti – Rechichi si occupava di gestire. “Servizi” che oggi gli sono costati la confisca di beni per oltre 50 milioni di euro.
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it
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