REGGIO CALABRIA Sui sequestri di persona c’era un accordo fra ‘ndrangheta e servizi di cui i boss Domenico Papalia e Francesco D’ Agostino erano i garanti. Lo ha svelato il collaboratore di giustizia Vittorio Foschini, elemento di spicco della ‘ndrangheta milanese sentito oggi come testimone al processo ‘Ndrangheta stragista. «D’Agostino è morto per non aver rispettato o aver violato un patto con i servizi», ha detto Foschini rispondendo alle domande del procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo. O meglio, ha spiegato, i patti erano due. Uno non lo ha mai conosciuto. Il secondo invece prevedeva il blocco dei sequestri di persona in cambio della fine delle operazioni di polizia in Aspromonte e la sostanziale impunità per i latitanti. Perché D’Agostino sia stato ucciso, Foschini non lo sa dire. Di certo sa e racconta quanto si riferiva all’epoca tra i Papalia, la sua famiglia di ndrangheta, elite della ‘ndrangheta milanese. «In famiglia si diceva che i servizi avessero chiesto a Papalia di attribuirsi l’omicidio, assicurandogli che avrebbero buttato giù il processo e che nel frattempo avrebbe goduto di ampie libertà». In effetti, ha spiegatp Foschini, quando Papalia era detenuto a Parma non solo godeva spesso di permessi speciali, ma poteva ricevere anche in carcere le visite di parenti e sodali. «Il meccanismo – ha raccontato il pentito – si è inceppato quando Papalia è stato trasferito ad Opera e ha incontrato l’educatore carcerario Mormile. Aveva fatto una serie di relazioni negative, che avevano bloccato i permessi». Per questo ne è stata decretata la morte. «Mormile non era un corrotto. Gli abbiamo offerto trenta milioni e ha rifiutato. E poi ha detto ad Antonio Papalia durante un incontro “io non sono dei servizi”». E così si è condannato.
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it
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