Alla politica delle ideologie, quella che ha fatto crescere tanti di noi in lotta con se stessi e con gli altri alla ricerca di nobili risultati, si è sostituita la politica delle simpatie. Quel genere mai considerato sino a qualche tempo fa, se non quale valore aggiunto di un’attrattività ideologica e/o programmatica che già c’era, che invero non faceva male. Tutt’altro. Quel non so che incrementava il consenso del bravo, dell’onesto, del credibile, di chi garantiva una buona pratica amministrativa. Che, al contrario, ne riduceva il fascino elettorale, in presenza di manifesta antipatia.
Oggi no, la simpatia è fenomeno determinante, spesso prescindendo dalle cose che il candidato a qualcosa va dicendo. Dunque, bando alle ideologie distintive senza avere una alternativa culturale credibile. A prevalere è solo lo show. Del tipo quelli che ci catturano, televisivamente parlando, senza ben capire perché. Senza accorgerci che ciò che ci attrae è il leader degli ascolti di turno, al quale tutto è consentito. Quindi, populismo à go go, ospiti opportunamente selezionati sulla base delle loro antipatie e/o volgarità seducenti, tromboni messi lì a ripetere sempre le stesse cose e con le stesse facce, tanto da stancare persino il vetro delle telecamere costrette ad inquadrarli, sono gli strumenti del richiamo, ben venduti dagli editori televisivi, al quale la novellata politica affida (ahinoi) il proprio account.
A tutto questo fa da sponda la caduta degli interessi, quelli sociali. E già perché a quelli economici sono tutti interessati, chi per accaparrarsi un vitalizio in più e chi per prevalere nelle commesse pubbliche. A quelli sociali si avrà, molto dopo, il tempo di pensarci! Quando spesso per tanti non c’è più niente da fare.
La cosa che mi preoccupa maggiormente è che nessuno parla più di socialismo. Di quel modo di concepire e attuare una società civile nella quale si concretizzi l’uguaglianza dei cittadini sotto il profilo giuridico, economico e sociale. Tutti parlano di tutto tranne che di come entrare nelle case e capire che da una parte ci sono gli anziani, cui necessita una assistenza socio-sanitaria negata, e dall’altra ci sono i giovani delusi persino dai loro padri e dai loro nonni incapaci di avere cambiato il mondo come volevano. Di avere rinunciato alle loro battaglie e, spesso, di essersi venduta l’anima al diavolo pur di guadagnare uno stipendio fisso, con pensione prevalentemente pubblica al seguito, che dalle nostri parti sono ad appannaggio dei responsabili di ciò che siamo.
Nonostante questo continua a vincere la politica delle simpatie e a perdere ogni ricorso a chi ha voglia di riprendere quella minimamente supportata da un credo, qualunque esso sia.
La prova di tutto questo risiede nel risultato elettorale e nelle trattative successive.
Il primo è stato determinato, oltre che dai saldi negativi dell’operato dei fu, dalle antipatie che, per esempio, Renzi ha saputo capitalizzare a iosa, a tal punto, che per darsi ragione deve dirselo allo specchio. E dire che il buon Matteo, così come capitò in un diverso momento storico, (per fare un altro esempio) a Mario Segni, ha avuto l’occasione per cambiare il Paese. Il tutto contrapposto alle novellate simpatie espresse dal volto giovane e sorridente di Luigi Di Maio, che «parla come mangia» ma è comprensibilmente attrattivo, e da quello meno giovane ma divenuto credibile di Matteo Salvini che hanno fatto man bassa del consenso nazionale.
Un risultato che ha cambiato le solite logiche e i soliti protagonisti ma senza approdare ancora ad alcunché. Un flop generato da chi non ha il coraggio, da una parte (da destra), di affrontare il cambiamento abbandonando le pesanti radici che lo legherebbero al peggiore passato e, dall’altra (da sinistra), di sfidare se stesso investendo su nuovi progetti e su nuovi soggetti politici, ma molto simili ai propri ideali morali.
Ma si sa a vincere sono le simpatie e a perdere le antipatie! Ad essere sconfitti è la società, soprattutto quella che non ha di che campare e che non riesce neppure a curarsi in una sanità pubblica oramai virtuale.
*Docente Unical
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