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Scambio politico-mafioso, assolto anche l’ex sindaco di San Luca

Sebastiano Giorgi era imputato nell’inchiesta “Reale 6”. Crollano le accuse poiché il «fatto non sussiste» anche per Giuseppe e Sebastiano Pelle e Francesco Strangio. L’indagine scaturì dall’elezio…

Pubblicato il: 21/04/2018 – 10:46
Scambio politico-mafioso, assolto anche l’ex sindaco di San Luca

LOCRI Il Tribunale di Locri, presieduto da Fulvio Accurso, ha assolto da tutte le accuse gli imputati del troncone ordinario del processo scaturito dall’inchiesta “Reale 6”. Tra gli imputati, accusati a vario titolo del reato di scambio elettorale politico-mafioso, c’erano Giuseppe Pelle, classe 1960, Sebastiano Pelle, classe 1971, Francesco Strangio classe 1954 e l’ex sindaco di San Luca, Sebastiano Giorgi.
Per tutti gli imputati il pm antimafia Francesco Tedesco aveva richiesto la condanna ed in particolare cinque anni di carcere erano stati richiesti per Giorgi mentre per gli altri tre imputati la richiesta ammontava a sette anni e sei mesi. Secondo l’accusa, in occasione delle consultazioni elettorali per il rinnovo del consiglio regionale della Calabria per l’anno 2010 l’allora candidato con la lista “Popolo della Libertà” Santi Zappalà, ex sindaco di Bagnara Calabra, successivamente eletto al consiglio regionale, avrebbe ottenuto dall’articolazione della ‘ndrangheta operante a San Luca e comuni limitrofi la promessa di voti in cambio della erogazione di denaro. Zappalà verrà eletto in seno a Palazzo Campanella con oltre undicimila preferenze. Per questa indagine l’ex consigliere regionale è stato condannato nel primo grado del troncone in abbreviato a 4 anni e 3 mesi di reclusione. Il gup distrettuale Adriana Trapani lo ritenne responsabile all’esito del primo grado di aver pagato pacchetti di voti ai clan della Locride per ottenere l’elezione nella tornata elettorale del 2010. Nonostante la sentenza emessa nel troncone abbreviato, l’impianto accusatorio non ha retto il Tribunale di Locri ha assolto tutti gli imputati perché «il fatto non sussiste».
L’INDAGINE Naturale prosecuzione dell’indagine “Reale 2”, che ha già visto l’ex consigliere regionale Santi Zappalà condannato per scambio politico mafioso, l’inchiesta “Reale 6” amplia e precisa la rete di complicità e connivenze su cui il politico avrebbe potuto contare. Per i magistrati, Zappalà, per ottenere «una straordinaria affermazione elettorale» in occasione delle elezioni per il Consiglio regionale della Calabria nel 2010, avrebbe messo a disposizione dei Pelle e di altre cosche della ‘ndrangheta, complessivamente, 400mila euro.
LE QUOTE Centomila euro sarebbe stata la quota parte dei Pelle, grazie ad un accordo diretto col capo del gruppo criminale, Giuseppe Pelle, detto “Gambazza”, mentre altri duecentomila sarebbero serviti per ottenere il sostegno elettorale dei Pesce di Rosarno e centomila sarebbero andati agli Strangio di San Luca. Un’ipotesi che i magistrati hanno costruito sugli elementi emersi nell’inchiesta “Inganno”, che ha già visto l’ex sindaco Giorgi condannato come referente dei clan, insieme all’ex stellina dell’antimafia Rosy Canale. Proprio dalla sua viva voce, gli investigatori hanno appreso delle “quote” versate da Zappalà il 26 marzo 2010.
MATERIALE INSUFFICIENTE Elementi che tuttavia per il tribunale di Locri non bastano a sostenere il suo diretto coinvolgimento nell’affare, così come quello del boss fino a poco tempo fa latitante Peppe Pelle, di Sebastiano Pelle (cl. 71) e Francesco Strangio (cl. 54). In primo grado con rito abbreviato invece il gup aveva confermato l’esistenza della rete di connivenze ricostruita dagli inquirenti, condannando non solo Zappalà, ma quasi tutti gli altri coimputati a pene pesantissime.
IL QUESITO DEGLI ERMELLINI In quella sede, il gup Trapani aveva anche sciolto il nodo proposto dalla Cassazione che con una sentenza clamorosa, aveva messo in discussione l’effettiva attuale operatività della cosca Pelle, una delle famiglie che ha scritto la storia della ‘ndrangheta reggina. I Pelle – aveva spiegato il giudice in sede di motivazione – sono un clan capace di imporre «l’assoluta obbedienza ed omertà nella popolazione locale, sulla quale esercita un potere mafioso antico e tramandato iure sanguinis, ma non senza che si rinnovi con l’incarnazione di nuove figure delinquenziali e di più potenti e ambiziose attività criminose».
IL CLAN PELLE È PIENAMENTE OPERATIVO E ancora, scriveva il giudice, «dietro la famiglia Pelle si cela un potente clan criminale, delle cui rigide regole di gestione è depositario Giuseppe Pelle». Elementi emersi in varie indagini e che «non consentono – scrive ancora il giudice – di rilegare il ruolo di Pelle Giuseppe a quello di “consigliere” della ‘ndrangheta, bensì di capo-promotore attivo di una cosca di riferimento divenuta, per la sua capacità delinquenziale in loco e per il potere così trasmesso ai propri capi, un personaggio fondamentale nella gestione dei rapporti con gli altri clan variamente distribuiti nel territorio nazionale». Bisognerà attendere le motivazioni per comprendere se e in che misura tale pronuncia sia stata recepita da Locri, o se a pesare – ancora – sul giudicato sia stata la pronuncia della Cassazione.

a.c.

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