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«I giovani difendano la libertà che gli abbiamo donato»

Commovente celebrazione a Catanzaro per la Festa della liberazione. Il racconto dell’ex partigiano Manente, scampato all’eccidio di Tolentino: «Vale la pena lottare per la democrazia»

Pubblicato il: 25/04/2018 – 14:42
«I giovani difendano la libertà che gli abbiamo donato»

CATANZARO «Ai giovani dico di apprezzare la libertà che hanno e la democrazia che hanno, perché possono parlare e anche lamentarsi, e vale la pena lottare per difenderle». Questa volta la Festa della Liberazione di Catanzaro non è stata la solita liturgia, per quanto toccante e commovente: a rendere speciale questo 25 aprile nel capoluogo calabrese è la testimonianza di Carlo Manente, partigiano catanzarese che il 22 marzo 1944 fu uno dei pochi a scampare alla fucilazione nazifascista nel tremendo eccidio di Tolentino, nelle Marche.
LE CELEBRAZIONI La testimonianza di Manente, la cui presenza alle celebrazioni della Liberazione, insieme a quella dell’Anpi, è stata fortemente voluta dal prefetto Francesca Ferrandino, ha dato davvero il senso pieno del valore della giornata. Il classico protocollo, con il picchetto d’onore passato in rassegna dal prefetto, con il saluto alle associazioni combattentistiche, con l’alzabandiera e con la deposizione, da parte del prefetto, di una corona di fiori sotto il monumento che, in piazza Matteotti a Catanzaro, ricorda le vittime della guerra e di tutte le guerre. Una sobria ma robusta dichiarazione del prefetto Ferrandino ai giornalisti: «Il 25 aprile – dice – è un fatto storico e umano che coinvolge tutti, coinvolge un paese intero e coinvolge la regione Calabria. Lo dobbiamo celebrare con la convinzione che soltanto coltivando la memoria con coerenza, memoria e impegno possiamo creare una saldatura, non di forma, ma di sostanza con le giovani generazioni: è un compito, questo, che spetta a tutte le istituzioni».
Infine, fuori dal protocollo e dalle formalità, l’abbraccio del prefetto a Manente, assistito amorevolmente dagli attivisti dell’Anpi provinciale, l’Associazione partigiani. «Manente – rimarca Ferrandino – è una figura che ha un grandissimo significato per la Calabria, per le Marche e per il Paese intero, come tutte quelle che hanno combattuto per la nostra libertà anche a prezzo della vita».
LA LEZIONE DEL PARTIGIANO È quindi Manente a prendersi, giustamente, la scena. Racconta la sua straordinaria storia e non si ferma più, e non manca di lanciare qualche bella “stoccata”. «Sono molto emozionato – esordisce il partigiano calabrese – perché finalmente si sono ricordati di me, sono rimasto finora sempre in incognito, perché nessuno sapeva quello ho passato. Dopo 47 anni mi hanno scoperto, sono stato ricordato nelle Marche, da trasmissioni televisive anche della Rai, ma mai a Catanzaro fino a qualche tempo fa: molti mi hanno visto e mi hanno rimproverato per non aver mai detto niente, ma ho preferito vivere nel silenzio perché correvo il rischio di essere preso per pazzo».
Manente quindi torna con la mente ai drammatici giorni di marzo 1944: «Avevo 19 anni ed ero un atleta. Ero partito da Catanzaro per fare l’ultima gara della stagione a Trieste e, quando scendo da Trieste, resto bloccato nelle Marche, tra le bombe di Ancona. Vado a Tolentino dove si sentiva parlare insistentemente di batterie partigiane attive e così scelgo di andare in montagna, una scelta fatta all’improvviso: con me – ricorda Manente – non avevo nulla, non avevo equipaggiamento, non avevo armi. Insieme a me c’erano tanti altri partigiani: nessuno ci ha obbligato e nessuno ci ha ringraziato ma sentivamo di doverlo fare. Mi sono salvato miracolosamente, per un caso, grazie a un litigio tra un ufficiale nazista e fascista al momento della fucilazione. E dopo essere stato obbligato a buttare i cadaveri fucilati prima di me in un fosso. Queste cose non le ho raccontato mai a nessuno».
Manente, che ha due figli che vivono a Roma con le rispettive famiglie, conclude con un messaggio alle nuove generazioni: «L’altra sera in tv ho sentito Berlusconi dire che l’unico democratico è lui. Mi sono sentito ferito, perché – sostiene il partigiano calabrese – Berlusconi non ha fatto niente mentre io e tanti altri abbiamo contribuito a dare la democrazia all’Italia affrontando anche la morte. I giovani forse non si rendono conto di cosa sia la libertà: per questo a loro dico che la libertà è impagabile, ha un cuore e un’anima e perdona, mentre invece la dittatura è fredda, spietata e non perdona mai. Ai giovani – è il saluto di Manente – dico di apprezzare la libertà che hanno e la democrazia che hanno, perché possono parlare e anche lamentarsi, e vale la pena lottare per difenderle».

A. Cant.

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